(Graziella Cortese)
Si parla molto di scuola in questi giorni: meno male, poiché è diventata un’emergenza nell’emergenza. Tra didattica on-line e mancata condivisione sociale, gli studenti stanno soffrendo più di altri il periodo di “distanziamento” che stiamo attraversando.
Il cinema si è spesso occupato della vita tra i banchi di scuola (da “American Graffiti” al lungometraggio di Daniele Luchetti in Italia), ma al primo posto rimane, più o meno con approvazione unanime, il famoso film di Peter Weir.
Siamo alla fine degli anni ’50, nel New England. All’interno dell’Istituto Welton, un prestigioso e severo collegio maschile, sta per cominciare l’anno scolastico: i ragazzi cercano posto in camera tra vecchie e nuove conoscenze, il giovane Neil Perry incontra Todd Anderson e prova a fare amicizia nonostante la timidezza del nuovo compagno di studi.
Nel discorso inaugurale il preside, professor Nolan, sottolinea i principi che da sempre sono alla base dell’insegnamento nell’istituto: tradizione, onore, disciplina, eccellenza…
Una mattina arriva in classe il nuovo professore di letteratura, John Keating, e nonostante regole così severe si comincia a respirare un’aria diversa: l’insegnante ha un metodo innovativo per fare lezione, chiede ai ragazzi di strappare alcune pagine “inutili” dei libri, sale in piedi sulla cattedra per osservare la realtà da un’altra prospettiva, recita Shakespeare a memoria, porta i giovani alunni fuori in cortile. Vorrebbe insegnare loro a vivere con passione, e a “succhiare il midollo stesso della vita”.
Sono passati più di trent’anni, ma la pellicola conserva un fascino immutato: a distanza di tempo si possono ascoltare anche le critiche, le accuse di eccesso di retorica o intenti pedagogici. Però l’invito a cogliere l’attimo fuggente, o leggere i versi di Walt Whitman è valido anche per i giovani di oggi, che ancora non hanno visto il film.