40mila elettori sardi del centro-destra hanno “bruciato” la candidatura a Governatore del pupillo della Meloni, il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, ricorrendo al voto disgiunto. La matrice politica della rottura è attribuita dai media alla Lega e ai Sardisti, colpiti dalla premier con la sostituzione del Governatore uscente Solinas. Oltre a un voto locale, le urne hanno certificato il malessere profondo che da mesi colpisce la coalizione di governo: lo scontro quotidiano Salvini-Meloni.

Clamorosa la divergenza sull’assassinio del dissidente russo Navalny, con la premier allineata sulle posizioni occidentali di ferma condanna del Cremlino, mentre il suo vice è parso reticente, se non assolutorio. Situazione analoga nei rapporti con Bruxelles: Meloni alla ricerca di una sponda con Ursula von der Leyen, Salvini contro la UE, sempre più spostato su posizioni di estrema destra, con alleati discussi come l’AfD tedesca.

Il leader del Carroccio non è nuovo alle rotture: ha fatto cadere il governo Conte giallo-verde, ha contribuito, con lo stesso Conte e Berlusconi, alla fine dell’Esecutivo Draghi. Ma nel Carroccio c’è malessere, guidato dal Governatore veneto Zaia: in caso di esito negativo alle Europee si ipotizza un nuovo segretario, su una lista nordista, come il Governatore del Friuli, Fedriga, o il ministro Calderoli.

Anche la Meloni non è risparmiata dalle critiche; anzitutto per il doppio ruolo di premier e capo di partito, per l’oscillazione tra la ricerca di intese istituzionali in Europa e la corsa agli accordi con la destra francese e ungherese. Le si imputa un eccessivo decisionismo (caso Sardegna) e la reazione polemica ad ogni osservazione. Clamorosi gli attacchi di FdI alla Cei sui migranti e al Presidente della Repubblica sugli studenti “manganellati” dalla polizia a Firenze e Pisa: dal Quirinale, sempre imparziale, un monito a una gestione corretta dell’ordine pubblico. Mantiene invece una posizione istituzionale ed europea il neo-eletto segretario di Forza Italia, Tajani, fortemente legato al PPE.

Di qui al 9 giugno la fibrillazione politica non è destinata ad attenuarsi; anzi. Il rischio è il rinvio di scelte importanti, dalla sanità alla politica industriale (compresi i piani per l’auto); analoga incertezza si profila per le discusse riforme istituzionali, dal premierato elettivo alle autonomie regionali.

Nel conflitto Meloni-Salvini si è efficacemente inserito in Sardegna il leader del M5S Giuseppe Conte, che ben conoscendo la “tenacia” del segretario leghista ha puntato sulla crisi del centro-destra, mettendo in campo la candidatura di una sua “fedelissima”, la parlamentare pentastellata Alessandra Todde, vincitrice al foto-finish. Il “campo largo” è stato sostenuto dal Pd della Schlein e dall’Alleanza Verdi-Sinistra, mentre i Centristi di Azione e i Radicali hanno appoggiato il dem dissidente Renato Soru, che ha ottenuto l’8% dei voti, ininfluenti. In precedenza Conte aveva stretto un’intesa con il segretario della Cgil Landini, con l’obiettivo di vincere la gara per il primato con i Dem. Oggi i sondaggi del “Corriere della Sera” attribuiscono il 17% al M5S, un punto in meno del Pd.

In casa dem l’ex leader dc Dario Franceschini, sponsor della segretaria Schlein, ha esultato per il voto sardo, ricollegandosi con la scelta del 2019 che ha portato al governo Conte-due, giallo-rosso, con la partecipazione del Pd ma a guida grillina; significa forse l’accettazione di una nuova leadership di Conte? Per intanto, nelle trattative per la Basilicata e il Piemonte, i Pentastellati rifiutano candidature a Goveratore dei Dem e puntano su nomi esterni della “società civile”.

Problemi non meno gravi per i Centristi: dopo la delusione sarda, il leader di Azione Calenda ha garantito: “mai più da soli”. Significa accordi a “macchia di leopardo” (in Piemonte orientati verso Cirio)? Renzi invece ha annunciato che resterà al centro, anche solo, mentre è naufragata l’iniziativa della Bonino per un’unica formazione centrista alle Europee.

Le fibrillazioni nei Poli confermano che l’attuale sistema maggioritario favorisce coalizioni per vincere nelle urne, ma senza garanzie per la governabilità. Dalle politiche del 2022 sono passati pochi mesi, ma i problemi aperti ci sono tutti, senza eccezione. Il Presidente della Repubblica era stato criticato per il Governo di unità nazionale, varato nel 2021 “nell’interesse del Paese”.

Oggi gli scontri destra-sinistra e all’interno dei Poli pongono in una nuova luce la scelta di Mattarella, conoscitore attento delle vere priorità per sessanta milioni di italiani.