(Doriano Felletti)
«Morti un dirigente dell’Olivetti e l’autista nello scontro con un camion sull’autostrada». Così La Stampa del 10 novembre 1961 annunciava la morte di Mario Tchou, ingegnere di grandi capacità tecniche che pose le basi dello sviluppo degli elaboratori elettronici dell’azienda di Ivrea.
Tchou nacque a Roma il 26 giugno 1924. Era figlio di un diplomatico dell’Ambasciata cinese in Italia, Yin Tchou, e di Evelyn Wang. Nel 1942 conseguì il diploma presso il Liceo Classico Torquato Tasso e si iscrisse alla Facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza. Nel 1945 si trasferì negli Stati Uniti per completare gli studi; nel 1947 ottenne il Bachelor in Electrical Engineering presso la Catholic University of America e nel 1949 Master of Science al Polytechnic Institute of Brooklin. Fu nominato assistente alla cattedra di Ingegneria elettronica alla Columbia University di New York e, nel 1952, direttore del Marcellus Hartley Laboratory.
Adriano Olivetti riteneva che lo sviluppo dell’elettronica fosse cruciale per la creazione delle macchine per il calcolo; nel 1952 aveva aperto a New Canaan, nel Connecticut, un laboratorio di ricerche elettroniche ma era intenzionato ad aprirne uno anche in Italia. Nel corso di una visita negli Stati Uniti, nel giugno 1954, conobbe Mario Tchou e lo convinse a rientrare in Italia, persuaso dalle sue grandi capacità.
Nel novembre 1955 nacque, a Barbaricina, vicino Pisa, il Laboratorio di ricerche elettroniche. L’azienda era stata coinvolta dall’Università di Pisa, fin dal maggio 1955, per progettare un calcolatore elettronico, su suggerimento di Enrico Fermi, utilizzando un finanziamento di centocinquanta milioni di lire inizialmente destinato alla costruzione di un sincrotrone che fu poi realizzato a Frascati; dopo pochi mesi l’azienda, pur continuando la collaborazione con l’ateneo che portò alla realizzazione della Calcolatrice elettronica pisana, decise di sviluppare in proprio un calcolatore da destinare alle vendite. Mario Tchou assunse la direzione del Laboratorio e si impegnò in prima persona nella selezione del personale, attraverso un annuncio sui giornali in cui Olivetti ricercava ingegneri e fisici con «vivi interessi ai problemi relativi alle calcolatrici elettroniche». Requisito base era la giovane età, «perché le cose nuove – sosteneva Tchou – si fanno solo con i giovani. Solo i giovani ci si buttano dentro con entusiasmo e collaborano in armonia senza personalismi e senza gli ostacoli derivanti da una mentalità consuetudinaria».
Nel 1957 fu prodotto il primo prototipo, l’ELEA 9001 (o «macchina zero»), il cui funzionamento era quasi completamente basato sull’utilizzo delle valvole termoioniche. Il gruppo iniziò fin da subito la progettazione di un secondo elaboratore, anch’esso a valvole, che fu completato nel 1958 e prese il nome di ELEA 9002 (o «macchina 1V»). Quando tutto faceva pensare che il modello fosse pronto per la produzione in serie, Tchou decise di temporeggiare e di iniziare a svilupparne una nuova versione che prevedeva l’impiego dei transistor al posto delle grosse e costose valvole termoioniche, il che consentiva ingombri limitati, minor dissipazione di calore, maggiore velocità di elaborazione e lunga durata dei componenti.
Nel 1957 Tchou convinse Roberto Olivetti, figlio di Adriano, a fondare, insieme a Telettra, la Società Generale Semiconduttori per la produzione in serie dei transistor e dei diodi necessari alla produzione degli elaboratori a marchio Olivetti.
Nel 1958 l’azienda decise di chiudere il Laboratorio di Barbaricina e di aprire la nuova sede di Borgolombardo, nei pressi di Milano, per avviare la produzione in serie dell’elaboratore, chiamato ELEA 9003. La struttura logica fu progettata da Giorgio Sacerdoti; il design, fortemente innovativo, opera di Ettore Sottsass, le consentì di aggiudicarsi il Premio Compasso d’oro. L’8 novembre 1959 il calcolatore fu presentato in anteprima al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e, in seguito, fu esposto alla Fiera di Milano.
L’ELEA 9003 era un computer all’avanguardia: disponeva di capacità di calcolo in parallelo, svolgeva circa 8.000-10.000 istruzioni al secondo, superiore alla capacità di calcolo degli elaboratori sviluppati dai concorrenti. La memoria disponeva di 20.000 locazioni, espandibili a 160.000. Il computer era programmato in linguaggio macchina e questo, per Mario Tchou, era il suo più grande limite, tanto da decidere di continuarne lo sviluppo, nonostante le vendite di circa 40 esemplari a diverse aziende (Marzotto, Monte dei Paschi di Siena tra i primi, poi Fiat, ENI, Lancia, Cogne).
Nel 1960 Tchou e il suo gruppo di ricerca iniziarono a sviluppare un elaboratore di dimensioni, prestazioni e costi più contenuti, destinato ad applicazioni di carattere tecnico scientifico; l’ELEA 6001. Il dispositivo era basato su una rinnovata architettura hardware e, soprattutto, su una nuova interfaccia software, programmabile in linguaggio PALGO, un derivato dell’ALGOL. Fu presentato nel 1961 e vendette circa un centinaio di esemplari. Ma nel momento in cui le prospettive apparvero incoraggianti, il 27 febbraio 1960 sopravvenne la morte di Adriano Olivetti; meno di un anno dopo, il 9 novembre 1961, morì anche Mario Tchou, a causa di un incidente automobilistico avvenuto nei pressi dello svincolo di Santhià dell’autostrada A4. Partito da Borgolombardo, si stava recando a Ivrea; la Buick, guidata da un suo dipendente, sbandò sull’asfalto viscido e finì contro un autocarro.
Con la morte di Tchou si chiuse di fatto il progetto ELEA. Giorgio Sacerdoti fu nominato direttore del Laboratorio che, nel 1963, confluì nella Divisione Elettronica Olivetti. Nel 1964, i nuovi azionisti (il gruppo di intervento, formato da Mediobanca, Fiat, Pirelli, Imi e La Centrale) decisero di cederne il 75% alla General Electric. Nel 1968 Olivetti cedette anche il restante 25%.
L’azienda riprese a produrre computer diversi anni dopo: nel 1979 inaugurò il laboratorio di ricerca di Cupertino, in California. Ma il vantaggio sulla concorrenza era ormai colmato.