(Mario Berardi)
Contro la guerra del dittatore Putin i partiti hanno riscoperto l’unità nazionale, sempre auspicata da Mattarella, con un voto quasi unanime delle Camere sulla linea del Governo Draghi. Il premier, che in una prima fase del conflitto era accreditato come possibile mediatore, ha rilevato che la Russia, con l’invasione, ha cancellato ogni ipotesi di pace: l’Italia, con l’Europa, è accanto a Kiev con ogni tipo di aiuti, anche militari; contestualmente apre le porte ai profughi e aderisce a tutte le sanzioni economiche occidentali per indebolire Putin a Mosca e favorire un ripensamento della strategia bellica; infine è intenzionata a una nuova politica energetica per ridurre la dipendenza dalla Russia sulle forniture di gas (nuovi accordi con Algeria e Azerbaigian, rilancio delle energie rinnovabili e, se necessario, ritorno al carbone, nonostante le proteste degli ambientalisti).
Citando De Gasperi e la sua azione di pace nell’immediato dopoguerra, Draghi ha accusato Putin di aver riportato indietro di ottant’anni le lancette della storia, con una guerra insensata che colpisce tutta l’Europa, la sua idea di democrazia, libertà, convivenza pacifica. Il premier non ha nascosto alle Camere che il conflitto avrà un costo rilevante per la nostra economia, ma “non possiamo girarci dall’altra parte”.
Le forze politiche, unite nel sostegno al Governo, hanno tuttavia manifestato alcune differenze di valutazione sul conflitto: i più duri con Putin sono stati il segretario dem Letta, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Di Maio, con un’alleanza trasversale. Per Letta è essenziale la solidarietà occidentale e atlantica (e il “Corriere della Sera” lo ha candidato a futuro segretario della Nato); la Meloni ha sottolineato il carattere patriottico della coraggiosa resistenza degli Ucraini e del presidente Zelensky; Di Maio ha evidenziato la rottura dei trattati internazionali da parte della Russia, “meritandosi” una contestazione diretta da parte di Lavrov, numero due del Cremlino. Più cauti nel sì a Draghi la Lega, i Grillini e Berlusconi, non solo per i timori dei riflessi economici del conflitto, ma anche per gli elogi rivolti in passato al nuovo Zar.
Nel complesso il dibattito alle Camere ha fatto emergere un’adeguata priorità ai temi politici ed etici della guerra, con la consapevolezza di una drammatica svolta della storia umana; va inoltre sottolineato che 270 parlamentari hanno aderito alla giornata di “preghiera e digiuno” indetta dal Papa, accompagnata dall’indicazione del cardinal Pietro Parolin, segretario di Stato, di non rinunciare mai alla ricerca di spiragli di pace.
Sul piano interno, accanto alle manifestazioni molteplici di solidarietà al popolo ucraino, va rapidamente organizzata una “catena” pubblica e privata per l’accoglienza dei profughi (si parla, per l’Italia, di alcune centinaia di migliaia): l’azione del Governo e degli enti locali è essenziale; qui si vedrà se sono totalmente cadute le barriere frapposte all’immigrazione da alcune forze politiche. In Parlamento si sono assunti impegni precisi.
Vanno inoltre osservate le conseguenze del conflitto su alcuni specifici settori economici, dal turismo all’export italo-russo; come per la lotta al Covid andranno sostenuti gli operatori e i lavoratori più colpiti, in una logica di solidarietà.
In generale, come testimoniano i sondaggi, la larga maggioranza degli italiani (70%) condivide la linea del Governo, l’appoggio a Kiev, la condanna dell’invasione russa, la rottura, nel cuore dell’Europa, di decenni di pace. C’è soprattutto lo sgomento per il disprezzo della vita umana, per la sofferenza di milioni di persone (con i bambini in prima linea), per il riemergere della “Ragion di Stato”, per l’impiego di tecniche di guerra che ricordano le dittature del Novecento. In questo contesto, accanto alle iniziative politiche, la ricerca senza sosta di “spiragli” per la pace continuerà ad essere un impegno primario per tutti, laici e cattolici.
L’Europa, ove grandi sono le radici dell’umanesimo cristiano, non può divenire una terra di barbarie e distruzione. Come nei drammatici anni Quaranta, la follia dell’autoritarismo non può prevalere. Anche questo è il segno della ritrovata unità del Parlamento.