Si apre la crisi del Terzo Polo mentre si acuisce lo scontro destra-sinistra, sovranisti-radicali. Il “partito unico” di Calenda e Renzi è fortemente in dubbio, mentre tra Azione e Italia Viva è scoppiata una vivace polemica sulle responsabilità dello stallo. Ma è l’intera area “riformista” ad essere in difficoltà, dai moderati di Forza Italia ai Popolari del Pd, pur nella diversità delle situazioni. Alla radice dei problemi c’è la prevalenza delle scelte personali sui programmi e sulla linea politica: Calenda e Renzi sembrano alleati di convenienza, unitisi solo per superare lo sbarramento elettorale, con Azione molto collegata ai temi economici del liberismo (anche per le origini confindustriali del suo leader) e Italia Viva più sensibile ai temi del popolarismo; diverse anche le tesi etiche, con Calenda che cerca l’alleanza con i Radicali, Renzi più legato alle vicende dell’esperienza democratico-cristiana.
In uno schema politico ampiamente maggioritario, il Terzo Polo ha scelto una corsa minoritaria, senza alleanze, che di fatto ha consegnato alla Destra la guida del Paese; e anche nel dopo-voto si è diviso tra la ricerca dell’assoluta equidistanza tra i Poli e la possibile convergenza, almeno su alcuni temi, con il Governo. Il nuovo panorama politico, con lo scontro diretto Meloni-Schleim, riduce gli spazi di mediazione e richiede un lavoro di “testimonianza” per l’intera legislatura. Non si può vivere alla giornata, con una continua doccia scozzese tra abbracci e risse clamorose (ultima la querelle su Renzi neo-direttore del Riformista).
Problemi emergono contestualmente per la componente moderata di Forza Italia, aggravati dal vuoto di potere lasciato dalla malattia di Berlusconi: il partito è diviso tra chi guarda alla Meloni (l’ala governativa guidata dal vice-premier Tajani) e chi invece punta sull’unità con Salvini (la componente espressa dalla capogruppo al Senato, Ronzulli); l’appartenenza al PPE sembra passata in secondo piano, lasciando spazio al disegno della Meloni di realizzare a Strasburgo un Parlamento europeo con la leadership dei Conservatori e dei Sovranisti.
Questioni non meno gravi agitano il Pd, dopo la vittoria della radicale Elly Schlein, con i voti degli iscritti ribaltati ai gazebo da militanti “grillini” e dell’ultra-sinistra, a scapito della linea riformista del Governatore emiliano Stefano Bonaccini.
La nuova segretaria, nella formazione dell’esecutivo, ha mantenuto le sue promesse: largo spazio agli esterni di area radicale e alla sinistra ex comunista (con il rientro dei Bersaniani di Art. 1), pochi margini alle componenti riformiste che avevano dato vita, nel 2007, al Pd: i Ds di Fassino, i Popolari, i liberal-democratici. L’area di estrazione cattolico-democratica (con gli ex ministri Delrio e Guerini) ha apertamente protestato, parlando di un “partito monco”; in precedenza, il Presidente dei Popolari, Pierluigi Castagnetti, aveva minacciato la scissione, con la ripresentazione del Partito Popolare Italiano, erede di don Sturzo, con un programma fortemente ancorato al pensiero sociale cristiano, con la piena fedeltà alle istituzioni democratiche nate dalla Resistenza, con una collocazione occidentale in politica estera.
Il progetto resta sospeso: dipenderà dalle scelte della Schlein e dalla capacità degli esponenti politici di uscire dalla dimensione personale, in una visione più generale degli interessi del Paese.
Nell’immediato Governo e opposizione sono alle prese con due problemi irrisolti: la crescente crisi migratoria e l’incertezza dei finanziamenti europei del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (è già in ballo la tranche di aiuti di giugno). Sul piano europeo, decisivo in entrambi i casi, le forze politiche italiane continuano a muoversi in ordine sparso, senza coordinamento, rendendo più difficili le scelte, spesso interessate, dei 27 Paesi dell’UE.
Lo scontro aspro destra-sinistra non aiuta, e anche le priorità programmatiche andrebbero ripensate: dal Governo, che continua a proporre interventi su mille fronti, dall’opposizione (il senatore Zanda, vicino alla Schlein, ha chiesto maggiore attenzione ai temi sociali, a cominciare dallo scandalo delle diseguaglianze).
Le forze politiche “intermedie” possono svolgere una funzione positiva e costruttiva se rinunciano alle questioni personali e si caratterizzano su specifiche indicazioni programmatiche, rompendo il monopolio sovranismo-radicalismo, favorendo l’interesse per le istituzioni democratiche, in un Paese in cui va a votare una minoranza di cittadini. A sei mesi dal voto politico il percorso istituzionale sembra ancora risentire dei toni della campagna elettorale, mentre crescono le emergenze.