(Graziella Cortese)
Sessanta e più giorni in casa, e alla fine ci si abitua: ad ascoltare i rumori nuovi e ad apprezzare i silenzi. E quei balconi che si animano all’improvviso, o le finestre che si illuminano alla sera ci mostrano come la nostra vita somigli alla vita degli altri.
Nel 2006 il giovane e impegnato regista esordiente von Donnersmarck ha esaminato con la sua opera un periodo estremamente complesso per il suo Paese: la Germania dell’Est prima della caduta del muro di Berlino; un’analisi nata forse sulla scia di un movimento di riflessione sul passato “scomodo” del popolo tedesco (si possono citare i titoli “La caduta-Gli ultimi giorni di Hitler”, oppure “Goodbye Lenin”).
Berlino Est, 1984. Il capitano Gerd Wiesler è un agente della Stasi, la polizia segreta della Ddr, specializzato in interrogatori e sorveglianza di sospettati politici. È un uomo deciso, dall’aria impassibile: il suo credo trova la massima fiducia nel socialismo e nell’azione del regime.
La fortezza di ideali comincia però a vacillare quando Wiesler riceve l’ordine di spiare la vita di una coppia di artisti: l’autore teatrale Gerg Dreyman e l’attrice Christa Maria Sieland.
Comincia così a interessarsi all’arte e alla vita letteraria dei due giovani e, grazie alle microspie posizionate nell’appartamento, si introduce con disagio nella loro intimità. In questo modo il protagonista si trova di fronte ai misfatti di un governo che, come tutti i regimi assoluti, spegne le idee e il pensiero delle persone, codifica l’arte e, anche quando non utilizza la violenza del sangue, vuole controllare la vita di ciascun cittadino.
Wiesler, che perlustra le vite degli altri, finisce col non riconoscere la propria, che diventa così pronta al sacrificio.
Gli interpreti molto bravi e una sceneggiatura senza sbavature creano un’opera prima eccellente: gli spettatori si trovano di fronte a un thriller ad alta tensione, che spinge a riflettere sull’idea di libertà e di coscienza (un dibattito che anche oggi rimane sempre attuale).