(Fabrizio Dassano)
Una singolare figura di poeta e insegnante e anche preside (lo chiamavano “el pover Preside”) molto noto nell’Ivrea del Risorgimento, nacque a Castelnuovo dei Monti (Reggio Emilia) il 13 agosto 1815 e morì a Ivrea il 26 novembre 1858.
Laureatosi in legge nel 1839, fu nominato da Francesco IV di Modena poeta di corte. Nel 1841 fondò il “Silfo”, periodico letterario, artistico e teatrale che divenne una tribuna per il rinnovamento della cultura e si distinse per i suoi spiriti polemici nei confronti dei retori e degli accademici. Scrisse il libretto del melodramma “Carattaco” musicato dal maestro di cappella della corte ducale, Angelo Catelani. Nel 1843 fu nominato prima segretario dell’Accademia Atestina di Belle Arti e poi professore di storia e mitologia. Non pago di questa intensissima attività, trovò il tempo per pubblicare il “Buon Umore”, un almanacco umoristico che durò per ben tre anni e che per le sue critiche ai settori più reazionari della società modenese gli procurò non pochi nemici.
Nel 1848 si convertì alle idee liberali, cosicché il duca lo licenziò dall’ufficio di corte, dall’impiego di segretario e di professore dell’Accademia. Ormai poeta patriottico, emigrò dapprima in Toscana poi passò in Piemonte, accolto dal governo costituzionale di Torino. Il ministro dell’Istru-zione Pubblica lo mandò dapprima a Pinerolo come ispettore delle scuole elementari, poi a Novara e infine presso il Collegio Nazionale di Ivrea, poi regio Ginnasio – Liceo “Carlo Botta”, dove a partire dal 1853 divenne professore di storia e quindi Preside negli anni in cui vi frequentava il giovane Giuseppe Giacosa.
A Ivrea strinse ben presto numerose amicizie. Nel 1858 pubblicò la straordinaria raccolta di racconti “Serate del Villaggio” presso la tipografia Curbis, officina tipografica e luogo di ritrovo, conosciuto anche come il “gabinetto Viesseux eporediese”, cenacolo intellettuale dell’Ivrea della metà dell’Ottocento. Vi erano accolti il professor Peretti e il suo compaesano ed esule il Prof. Ferdinando Paolo Ruffini, insegnante di Filosofia positiva, prima al Collegio dal 1849, poi al Liceo “Carlo Botta” e docente universitario dal 1861 a Modena e poi a Bologna sulla cattedra di calcolo infinitesimale.
Vi era il professor Giovanni Battista Gandino, insegnante di latino al Collegio cittadino e poi di lingua e letteratura latina all’Università di Bologna, amico di Giosuè Carducci, l’avvocato Guido Giacosa, padre di Giuseppe e Piero, il capitano di Stato Maggiore Federico Carandini, insegnante alla Scuola Militare di Fanteria di Ivrea, padre di Francesco Carandini, poi il dottor Michele Borgialli, il professor Ferdinando Bosio, autore della “Canzone del Carnevale”, l’avvocato Luigi Ripa, il medico dottor Costantino Bosio, l’Avvocato Giulio Demaria, l’onorevole Giuseppe Brida di Lessolo che fu sindaco e deputato del collegio di Ivrea, il senatore Pietro Riva, padre del pittore e poeta dialettale, l’avvocato Giuseppe, il cieco Avv. Domenico Rey, traduttore in versi francesi degli “Animali parlanti” del Casti, ed altri ancora che, nel quieto ambiente, si riunivano, come ora più non si usa, a discorrere di politica, di letteratura e d’arte, come scriveva Fran-cesco Carandini nella sua “Vecchia Ivrea” pubblicata nel 1914.
Negli anni d’esilio eporediese, Antonio Peretti produsse una ballata, “I Marchesi d’Ivrea”, più volte stampata e ristampata e portata al successo in tutta Italia dalla recitazione dell’attrice Adelaide Tessero. Così lo descrive Luciano Luciani: «Certo la sua Modena gli manca e non poco: unica consolazione, poter rievocare persone, luoghi e scenari cari con Ferdinando Ruffini, compaesano e compagno d’esilio. Si trascura. Beve: ama soprattutto i liquori, Chartreuse e Bon Savoyarde e si può dire che non tolga mai il sigaro di bocca, fumandone 20/25 al giorno. Tarchiatello e robustissimo, la sua salute ne avrebbe senz’altro guadagnato se si fosse limitato negli uni e negli altri. Ipocondriaco col timore delle malattie e religiosissimo per tradizione familiare, vive appartato, pago delle modeste gratificazioni proprie dell’insegnamento e del rapporto con i giovani. A cui si aggiungono rare passeggiate negli incantati paesaggi dei villaggi e laghetti che circondano Ivrea e frequenti visite presso la libreria del libraio Curbis, il “Vieusseux” del Canavese».
Morì a soli 43 anni. Antonio Peretti spirava alle 6 del pomeriggio del 23 novembre 1858 gettando nello sconforto gli amici. La “Dora Baltea”, foglio settimanale dell’epoca di cui era collaboratore, promosse una sottoscrizione per un busto da porre in una nicchia nella galleria superiore del Convitto. La prima adunanza avvenne nel Palazzo di Città il 31 marzo 1859, presidente il vicesindaco Viola e tesoriere Curbis. Le offerte giunsero dalle scuole di Pinerolo e da diversi centri sul Lago Maggiore nel Novarese e i suoi studenti eporediesi contribuirono portando la raccolta di 1.676,72 Lire.
Fu incaricato dell’esecuzione del monumento lo scultore Giuseppe Dini, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Torino, pluripremiato ai concorsi semestrali di scultura negli anni 1843-1846. Dal 1845, anno di nascita della “Società promotrice di belle arti”, vi prese parte attivamente come espositore, debuttando con una Venere al bagno in marmo di Carrara che fu acquistata da Arborio Gattinara marchese di Breme e duca di Sartirana. Dotato di una cultura figurativa di tradizione romana, fece del linguaggio accademico la linea portante della sua produzione e predilesse un repertorio di soggetti mitologici che attirava l’interesse del pubblico presente alle esposizioni.
Dini lasciò un segno nella produzione di monumenti e nella copiosa produzione di busti commemorativi: le grandi committenze lo incaricarono di eseguire il Ritratto di Vittorio Emanuele II nel 1853. Alla produzione del 1855 appartengono il Ritratto del duca Eugenio di Genova, un secondo busto in marmo di Vittorio Emanuele II, commissionato dagli artisti ed operai dello Stato sardo per essere offerto al marchese Ala Ponzoni.
Il busto in marmo che ritrae il Conte di Cavour, esposto nel 1863 alla Pro-motrice fu seguito nel 1864 dai busti del Barone Plana e di Giovanni Nigra. Nel municipio di Cuneo è conservato un busto di G. Desmè datato 1877. Del 1881 è il ritratto del Conte di Cibrario, destinato all’Università di Torino, dove tuttora si trova, e quello di Mazzini.
Del 1858 è il monumento a Ferdinando di Savoia, duca di Genova ; del 1862 quello a Vittorio Alfieri ad Asti e del 1867 è il monumento ad Alessandro Lamarmora, eseguito in collaborazione con G. Cassano. Sempre a Torino, il monumento a Ettore Sonnaz, eseguito nel 1883. A Cuneo fu inaugurato nel 1879 il monumento al Conte Giuseppe Barbaroux; altri monumenti pubblici sono a Novara (Cavour) e a Bricherasio (Generale F. Brignone). Oltre ai numerosi monumenti per il cimitero di Torino, sono da ricordare i bozzetti modellati in creta all’Esposizione del 1892 della Promotrice, insieme a un Aiace in bronzo e al gesso dell’Epaminonda morente. Fortunata la partecipazione al concorso indetto dal governo britannico per il monumento a Wellington, seppur non vinto, gli diede plauso internazionale.
A Ivrea il 3 gennaio 1861 venne data la notizia che il busto era stato collocato in un’apposita nicchia nella galleria del piano superiore del Collegio-Convitto di Ivrea. Poi la solenne inaugurazione avvenne il 26 giugno e fu letta una lunga orazione composta dall’abate Jacopo Bernardi.
Due anni dopo a Modena, il suo amico, professor Ferdinando Ruffini inaugurò la riapertura della regia Università con il discorso “Della vita e delle opere di Antonio Peretti” il 16 novembre 1863. Il busto scolpito da Giuseppe Dini era costato 750 lire e fu realizzato un piedistallo per 530 Lire e una lapide tombale al cimitero d’Ivrea. Ancora oggi esiste una via cittadina che porta il suo nome.