Si è tornati più volte negli ultimi mesi a parlare della chiesa eporediese di San Nicola, specie in relazione alla raccolta firme per l’iniziativa “I luoghi del Cuore” promossa dal Fai e sponsorizzata da Intesa San Paolo. Il notevole numero di adesioni sinora raccolte testimonia l’interesse nei confronti dell’edificio sacro, una delle più notevoli testimonianze del Barocco in terra canavesana. In effetti la chiesa è assai modesta all’esterno, ma appena entrati, ci mostra uno straordinario apparato decorativo. Di particolare interesse sono i dipinti murali (oggi bisognosi di urgenti restauri) che ricoprono interamente le volte della navata del presbiterio, opera di Cesare Chiala, un pittore sul quale gli archivi, sorprendentemente, non ci hanno ad oggi restituito alcuna notizia. Da iscrizioni che ancora si possono leggere all’interno dei dipinti sappiamo che egli operò in San Nicola tra il 1683 e il 1694 realizzando il grandioso ciclo pittorico della chiesa. Nessun’ altra notizia documentata è disponibile.

Strano per un pittore di notevole caratura. Se, appena entrati in chiesa, diamo uno sguardo alla volta a botte lunettata che ricopre le tre campate della navata, vediamo come essa ospiti una pluralità di figure e di scene di carattere sacro che s’inseriscono in una ricercata ed intrigante trama di ghirlande, volute in finto stucco e racemi; i sottarchi delle tre campate sono popolati da elementi decorativi a grottesche e da fantasiose geometrie composte da un fitto intreccio di stemmi, mascheroni, conchiglie, piccoli scorci paesaggistici, putti in monocromo ed altro ancora.

È una sorta di horror vacui quello che guida l’immaginazione dell’artista, in una personale rielaborazione dei modelli di ornato secenteschi, alla quale non è verosimilmente estraneo il gusto per la metaforica barocca influenzata in Piemonte da Emanuele Tesauro.

L’unico testo che ci diceva qualcosa in più su Cesare Chiala era Vecchia Ivrea in cui Francesco Carandini ci segnalava altre possibili opere del misterioso pittore senza tuttavia far menzione delle sue fonti. Anche la consultazione delle celebri “schede Vesme”, il più autorevole regesto documentario di riferimento per la ricerca artistica piemontese, compilato da Alessandro Baudi di Vesme in lunghi anni di catalogazione di notizie e documenti, non ci consentiva di fare un passo avanti. Alla voce “Chiala Cesare” leggiamo queste poche righe: “Nel 1683 decorò la chiesa di S. Nicola in Ivrea, lo scalone ed il salone del vescovato nella stessa città, e forse l’interno del castello di Parella”, e l’autore subito dopo ci avvisa che non si tratta di informazioni documentali, ma derivate da una comunicazione del Conte Carandini. Ci accorgiamo che si tratta di informazioni da prendere con molta circospezione: sappiamo infatti che il salone del vescovado non fu affrescato da Cesare Chiala, ma da Luca Rossetti in prossimità del 1751.

In assenza di notizie di archivio, per cercare di sapere qualcosa in più sulla biografia di Cesare Chiala, occorre procedere sul terreno, più incerto, dell’analisi della consonanza con il suo linguaggio pittorico. Per quanto riguarda il Castello di Parella (oggi purtroppo non visitabile) a fare chiarezza sugli artisti intervenuti nel sontuoso programma decorativo è stata pubblicata nel 2018 l’illuminante scheda di Sandra Barberi e Sara Martinetti in Scambi artistici tra Torino e Milano, 1580-1714 – Cantiere di Studio. Scrivono le autrici: “Alessio II dotò il castello di una magnifica decorazione pittorica nella quale si riconosce l’intervento di maestranze lombarde assai prossime ai Bianchi di Campione […]”. Vengono segnatamente attribuiti a Isidoro Bianchi e figli i dipinti murali del Salone di Giove databili 1640 1650, e agli stessi prestigiosi pittori (che in questo caso si avvalsero di collaboratori) gli affreschi della Galleria dipinta. Più prudente è l’attribuzione degli affreschi delle altre stanze genericamente assegnata a pittori lombardi che seguono la scuola dei Bianchi di Campione. Viene tirato in ballo Cesare Chiala in relazione ai dipinti dello studiolo che si apre al fondo della Galleria, dove, tra i pittori di scuola lombarda, trova posto “un pittore di qualità più corsiva [che] affastella in una sorta di horror vacui due ordini sovrapposti di medaglioni a finto stucco con paesaggi sulle pareti, elaborate cartelle istoriate nelle vele della volta […] e prospettive architettoniche con rovine, palazzi e figure nello zoccolo”.

Altra presenza del Chiala è ipotizzata – stante la policromia e l’esuberanza decorativa – in uno dei saloni prospicienti la corte rustica. Il lavoro nel Castello di Parella consentì al pittore di perfezionare il repertorio di ornati che utilizzerà pochi anni dopo nella chiesa di San Nicola. Siamo negli anni che precedono il 1680.

Se, seguendo le indicazioni del Carandini, esaminiamo i dipinti murali, eseguiti nel 1675, che ricoprono la parete al termine dello scalone del Palazzo vescovile, non riconosciamo elementi di quella fantasiosa sovrabbondanza decorativa propria del Chiala. Neppure troviamo riscontri stilistici nel modo di rendere le luminescenze e le pieghe degli abiti dei personaggi. Una maggior consonanza con il suo linguaggio si può forse notare nella colossale raffigurazione dello stemma del vescovo, Giacinto Truchi, che occupa gran parte della volta: ma è troppo poco per tentare un’attribuzione.
Pare impossibile che il Chiala sia stato chiamato in causa per opere prestigiose come quelle di Parella e di San Nicola, e non ci abbia lasciato anche lavori minori in Canavese. Un evidente segno in tale direzione ci viene dalla cappella di San Rocco a Baio Dora. Qui, la volta a botte lunettata del presbiterio ci restituisce subito quell’ansia di occupare con la pittura murale ogni spazio disponibile, inserendo le scene figurate in una fitta trama di ghirlande di colore violetto, di decori in finto stucco nei colori del bianco, ocra ed azzurro, di medaglioni raffiguranti architetture e paesaggi: il raffronto – dopo il restauro effettuato nel 2006 dalla Ditta Lupo e Galli – con la volta della chiesa di San Nicola non lascia dubbi sulla paternità degli affreschi (immagine in basso). Molti sono gli elementi decorativi, a cominciare dai medaglioni in finto stucco con scorci di paesaggio, che riflettono l’esperienza nel castello di Parella.

Altre consonanze stilistiche potrebbero emergere dall’analisi sistematica dell’ancor poco esplorato lascito di dipinti barocchi in Canavese. Ciò che, sulla base delle annotazioni si qui fatte sul pittore Cesare Chiala, possiamo tentare di ricostruire in questi termini la sua attività in Canavese: prima del 1680 era attivo all’interno di un’equipe di seguaci dei Bianchi di Campione con la quale approda nel Castello di Parella, ove lavora come pittore d’ornato; il successo di tale esperienza gli vale nuove committenze nei dintorni di Ivrea, come accade verosimilmente per la cappella di San Rocco a Baio Dora; tra il 1683 e il 1694 realizza il grandioso ciclo di dipinti murali di San Nicola da Tolentino.