(Michele Curnis)
Che cosa si leggeva a Ivrea e quali libri circolavano in Canavese al tempo di Dante? È ben noto come lo scriptorium della diocesi eporediese avesse prodotto manufatti di eccezionale qualità negli anni del vescovo Warmondo (seconda metà del X secolo e principio dell’XI), tanto che la tradizione culturale warmondiana risulta oggi tra le più interessanti nella ricostruzione della cultura libraria dell’Italia settentrionale durante l’Alto Medioevo. I decenni della biografia dantesca, come abbiamo potuto constatare anche grazie al giudizio dello stesso Dante, per il Canavese equivalgono a un periodo di forti contrasti politico-militari, che senza dubbio non favorirono un incremento della produzione libraria.
Tuttavia, va segnalato che la Biblioteca Capitolare di Ivrea si sia arricchita di importanti codici anche tra la seconda metà del Duecento e la prima del Trecento. Risale forse al XIII secolo il manoscritto V (66), contenente un’antologia di sentenze morali, mentre è sicuramente della fine del Duecento la copia della Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (ca. 1230-1298) del codice CVIII (73), la cui grafia fa pensare all’area bolognese.
L’VIII (67) è una copia della Gemma animae di Onorio Augustodunense, unita alla Summa de electione di Bernardo da Pavia, entrambi celebri teologi del XII secolo. Furono vergati proprio tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento i trattati di logica formale di Pietro Ispano raccolti nel codice XIV (79): le famose Summulae logicales, letteralmente “Sommarietti di logica”, che Dante ricorda insieme al loro autore nel cielo degli spiriti sapienti (lo presenta Bonaventura da Bagnoregio, al termine dell’encomio di Domenico di Guzmán: «Pietro Spano, | lo qual giù luce in dodici libelli», Par. XII 134-135). Pedro Julião era nato a Lisbona attorno al 1210 e nel 1276 sarebbe divenuto pontefice con il nome di Giovanni XXI; fu l’unico papa a essere apertamente elogiato nella Commedia.
Il manoscritto XXII (82), che presenta una collezione di vite dei santi redatta in area novarese nel XIV secolo, fa pensare vieppiù a quel rapporto di stretto contatto politico e sociale tra Novara e il Canavese durante il Trecento (vale ricordare ancora una volta i trascorsi canavesani del notaio Pietro Azario). Sempre nell’Italia settentrionale e in quel secolo fu realizzato un esemplare pergamenaceo del De proprietatibus rerum, importante e assai conosciuta enciclopedia di Bartolomeo Anglico (filosofo francescano del XIII secolo), oggi conservato nel codice eporediese XLI (84).
Solo nel 1485 giunse a Ivrea una copia del Liber sextus Decretalium di papa Bonifacio VIII, confezionato nei primissimi anni del XIV secolo nella Spagna settentrionale o nella Francia meridionale: è il codice CVII (101), di proprietà di Nicolaus Garilliati, canonico di Ginevra, che appunto nel 1485 divenne vescovo di Ivrea ed evidentemente portò con sé presso la nuova sede i libri della sua biblioteca. Il contenuto di questo manoscritto è fortemente collegato al pensiero politico di Dante, giacché le costituzioni pontificie di Bonifacio VIII, promulgate nel 1298, riaffermarono la posizione dei predecessori Gregorio VII e Innocenzo III sulla superiorità del potere spirituale e temporale del papato rispetto all’impero, allegoricamente raffigurati come il sole e la luna (l’auctoritas del pontefice brillerebbe di luce propria, al pari del sole, mentre la potestas imperiale emanerebbe soltanto una luce riflessa, come quella lunare). Dante, nel corso degli anni dell’esilio, avrebbe riflettuto a lungo sulla dialettica tra questi due poteri, sia in molte pagine della Commedia sia nel III libro della Monarchia.
Anche al di fuori della Biblioteca Capitolare, però, i libri in circolazione a Ivrea erano molti, soprattutto di ambito liturgico e presenti nelle varie parrocchie della diocesi. Per documentare la loro diffusione nella prima metà del Trecento sono di fondamentale importanza le cronache delle visite pastorali effettuate nel 1329 e nel 1346, durante l’episcopato di Palaino Avogadro di Casanova, e magistralmente pubblicate da Ilo Vignono nel 1980. Nei formulari di entrambe le visite è infatti prescritta una domanda relativa ai beni della parrocchia, che include anche i libri: «Item si in eadem ecclesia sunt calices argentei, cruces, libri, paramenta et alia divino officio et cultui necessaria» (è il comma XI del formulario del 1329, ripetuto quasi identico nel 1346: “Ugualmente [il parroco deve dire] se nella chiesa sono presenti calici d’argento, croci, libri, paramenti e altri oggetti necessari alla pratica liturgica e al culto”). La maggior parte dei sacerdoti e testimoni interrogati nel 1329 risponde che la chiesa è sprovvista o scarsamente munita («male ornata») di quanto si richiede al comma XI, anche se non specifica quasi mai quale sia il difetto più grave; soltanto il pievano di Ozegna dice di disporre di «bonos libros», mentre quello di Ribordone classifica i suoi come abbastanza buoni («satis bonos libros»).
Molto più soddisfacenti sono i risultati dell’indagine del 1346 presso gli ospedali e le chiese di Ivrea e dell’immediato circondario: il rettore della chiesa cittadina di San Pietro (che sorgeva in corrispondenza dell’attuale Seminario Maggiore e che oggi non esiste più) dichiara di avere libri, ma che alcuni di essi hanno bisogno di essere rilegati («aliqui ex dictis libris indigent religacione»). L’osservazione permette di capire che presso questa chiesa non ci fossero soltanto un messale e una Bibbia, ossia i testi essenziali della liturgia, ma anche altri strumenti, e che il rettore Pietro fosse attento alla loro custodia e buona conservazione. Al contrario, il presbitero Bertolino, rettore della chiesa di San Salvatore (già allora nella sua attuale collocazione), dichiara di avere soltanto i libri strettamente indispensabili.
Don Ranieri, rettore della chiesa di San Cristoforo martire a Banchette, è l’unico a fornire un elenco abbastanza dettagliato dei libri a sua disposizione: “un messale, due copie delle Epistole del Nuovo testamento, una abbastanza pregevole, l’altra di scarso valore; in più, una copia dei Vangeli con esposizioni esegetiche, un Salterio, un capitolare [raccolta di deliberazioni del capitolo della cattedrale] e un innario; gli ultimi due glieli ha dati il presbitero Tommaso, che li aveva ricevuti in seguito alla morte del suo predecessore Domenico […].
Aggiunge poi che presso la chiesa ha un registro battesimale, in cui annota messe votive e benedizioni”. La successiva e ultima informazione riguarda il valore materiale di questa piccola biblioteca: «Qui omnes libri sunt quasi nullius valoris, excepto libro exposicionum» (“Tutti questi libri valgono pochissimo, fatta eccezione per le esposizioni esegetiche dei Vangeli”). Alla metà del Trecento, dunque, nella parrocchia di Banchette era presente almeno un libro ragguardevole; una possibile ragione di tale privilegio potrebbe essere la dignità di arciprete del capitolo della Cattedrale, che spettava al rettore di quella parrocchia (per questo il suo vicario ricorda anche la presenza di un capitolare). Forse, il prezioso manoscritto di cui parla don Ranieri potrebbe essere identificato con un codice che poi confluì nella Biblioteca Capitolare di Ivrea, il LXVII (70), che contiene la Expositio Evangelii secundum Lucam e il De incarnationis dominicae sacramento di Ambrogio, più una serie di omelie di Pier Crisologo, già attribuite ad Agostino. Pergamenaceo e abbastanza voluminoso, fu confezionato in Italia settentrionale verso la fine del XII secolo; alla metà del Trecento doveva certamente apparire come un libro antico e pregiato.