Dopo un anno di politica urlata (forti polemiche, grandi promesse) il ministro dell’Economia Giorgetti ha detto al Paese (che intanto si è fermato nella crescita) una triste verità: per il bilancio statale 2024 ci sono pochi soldi, s’impone l’austerità, fatta eccezione per il taglio del cuneo fiscale. Le riforme organiche delle pensioni e del fisco devono attendere ed è rinviata anche la riforma regionale di Calderoli che presenta costi altissimi per evitare 2 Italie, Nord contro Sud. Il Governo pensa anche ad una parziale vendita dei gioielli di famiglia (quote azionarie nei grandi enti pubblici) per recuperare risorse essenziali per gli alluvionati e gli emigranti.

A questo si aggiungano le incognite delle trattative con Bruxelles sul patto di stabilità (chiediamo di fare più deficit, ma siamo già sotto osservazione per gli “sforamenti” prodotti dall’ecobonus del Governo Conte, per i ritardi nell’attuazione del PNRR, per il “no” al Mes, il Meccanismo europeo di stabilità…). Con l’Europa è ferma la questione delicatissima dei migranti perché le intese sono bloccate dai veti dei governi (vicini a Meloni e Salvini) di Ungheria e Polonia.

La premier continua nella linea del doppio binario: istituzionale e identitario. Lo si è visto in modo emblematico nella vicenda del discusso generale Vannacci, rimosso dalle sue funzioni dal ministro della Difesa Crosetto; in un libro molto criticato ha espresso posizioni radicali sul razzismo, gli emigranti, l’omofobia, meritandosi un richiamo dallo stesso Presidente Mattarella, che ha contestato il “diritto all’odio”, in netto contrasto con la Costituzione repubblicana.

Il titolare della Difesa ha richiamato il generale al rispetto del suo ruolo istituzionale, cosa diversa dal diritto d’opinione di ogni cittadino. La Meloni non si è espressa, lasciando esplodere lo scontro tra Salvini (favorevole a Vannacci) e Crosetto, criticato anche dal capo organizzativo di FdI Donzelli. Il ministro della Difesa, ex dc e forzista, esprime la linea di superamento delle radici post-fasciste della destra, Donzelli (e Salvini) confermano i legami con l’eredità di Almirante. E per guidare FdI in questa burrasca, la premier ha affidato i pieni poteri alla sorella Arianna. Un controllo assoluto, avendo in mente soprattutto il voto europeo e la concorrenza con la Lega?

Dal campo variegato dell’opposizione è giunta una proposta unitaria sul salario minimo (9 euro l’ora); la Meloni ha accettato l’incontro con Conte (primo presentatore del ddl), Schlein, Calenda, Bonelli, Sinistra italiana, ma ha rinviato tutto al Cnel, nonostante l’iniziativa abbia il sostegno del 70 per cento degli italiani (sondaggio docet).

Sulla priorità del lavoro insistono i sindacati: la Cgil annuncia mobilitazioni da ottobre, anche per il rinnovo dei contratti. Su questo tema, che riguarda milioni di lavoratori, un segnale significativo giunge dagli Stati Uniti. Il potente sindacato dei metalmeccanici ha contestato il numero uno di Stellantis (ex Fiat e Chrysler), Tavares, criticando la sua remunerazione annua (19 milioni di euro): per guadagnare questa somma – ha detto polemicamente il sindacato – un operaio dovrebbe lavorare tre secoli e mezzo! Di qui la richiesta a Stellantis di cospicui aumenti (sino al 40%, per fronteggiare l’inflazione).

In Italia la vicenda statunitense è passata inosservata, mentre cresce la preoccupazione per i livelli produttivi nel Gruppo ex Fiat; la Fim-Cisl ha sollevato ancora una volta la questione di Mirafiori, ove si annunciano nuove fermate, mentre langue la trattativa sul futuro dell’auto dal ministro Urso (il Consiglio dei ministri ha detto sì all’ingresso dello Stato nella Tim, ma la proposta di una presenza azionaria nel colosso di Lione, come già avviene con il governo Macron, non è stata presa in considerazione).

Permane l’esigenza di una corresponsabilità “sociale” dei grandi gruppi, e non solo nell’industria; la stessa iniziativa dell’Esecutivo di tassare gli extra-profitti bancari (che per una volta ha visto d’accordo Meloni e Conte) esprime l’esigenza di un contributo più stringente del mondo finanziario alla crescita sociale del Paese, in una realtà di diseguaglianze dilaganti (per la verità ha fatto scandalo anche l’ingaggio del CT della Nazionale, Roberto Mancini, in Arabia Saudita: 25 milioni all’anno, in un Paese fortemente arretrato).

La politica e la società hanno di fronte un 2024 difficile ed elettorale: la scelta è tra ricerca della governabilità e propaganda.