(Mario Berardi)
La campagna elettorale per il referendum e le regionali ha rallentato gli impegni per la ripresa economico-sociale: il premier Conte, con la scelta del silenzio, ha di fatto rinviato le principali misure a dopo il 20 settembre, con il rischio di una corsa affrettata nella preparazione del bilancio statale per il 2021 e del Recovery-fund. Anche la scuola, dopo il “commissariamento” da parte del Governo della ministra Azzolina, è finita nel tritacarne della polemica politica, nonostante la priorità invocata dal presidente Mattarella.
Due temi delicatissimi (i migranti e l’aborto) sono stati strumentalizzati in modo improvvido. La destra, con il governatore della Sicilia Musumeci, sostenuto dall’accoppiata Salvini-Meloni, ha chiesto la cacciata dei profughi dall’isola, affermando la loro primaria responsabilità nella diffusione del Covid 19; ma i dati scientifici hanno smentito questa tesi mentre la cronaca ha evidenziato lo scandalo delle discoteche, in primis quelle della Sardegna guidate dal “negazionista” Briatore. Sull’altro versante, il leader della sinistra e ministro della Sanità Roberto Speranza ha improvvisamente cambiato, con una circolare ferragostana e senza alcuna riunione di Governo, la legge 194 sull’aborto.
Come hanno documentato “Avvenire” e “Osservatore romano” il ministro ha stravolto la legge sul compito dei consultori: da strumenti per salvare vite umane a presidi per le pratiche abortive. Il Parlamento esautorato!
È sorprendente che mentre si discute con il referendum sul numero dei parlamentari e sui loro compiti, un Governatore e un Ministro si muovano come se avessero pieni poteri costituzionali. Per la verità il Tar siciliano ha bloccato Musumeci, mentre Speranza non è stato corretto dalla sua maggioranza: silenzioso Conte, ma silenziosa anche la componente cattolico-democratica proveniente dalla Margherita.
I due blocchi (centro-destra, centro-sinistra) sono dominati dai problemi interni: anche l’ottimo Mario Draghi, ex presidente BCE, ne ha fatto le spese, con l’archiviazione de facto del suo intervento riformista al Meeting di Rimini. Salvini e Meloni non vogliono il “Governissimo”, perché puntano a elezioni anticipate, nonostante il dissenso di Berlusconi; Pd, M5S e Italia Viva litigano sulle alleanze, sul Mes, sulla nuova legge elettorale e sullo stesso voto referendario. Emerge una questione di identità delle forze politiche: nel centro-destra, di fronte al massiccio sostegno di Bruxelles all’economia italiana, c’è un problema di coerenza con l’aperto euro-scetticismo della Lega e, in misura minore, di Fratelli d’Italia; nei pentastellati permane la divisione tra i nostalgici dell’opposizione (Di Battista) e i governativi (Di Maio); nel Pd va chiarita la scelta strategica: mediazione tra il filone ex Popolare e quello ex Ds o collocazione nell’area radical-socialista? Ma anche Renzi ha i suoi problemi: quarta gamba del centro-sinistra o nuova formazione centrista coi Radicali e l’ex ministro Calenda?
Al clima confuso dà un contributo rilevante anche il presidente di Confindustria, Bonomi, che ogni giorno chiede la caduta del Governo Conte e una radicale priorità di fondi per il mondo dell’impresa. Anche Draghi ha chiesto riforme strutturali, ma non ha negato i sostegni alle fasce più deboli.
L’Istat ha certificato che tre milioni di italiani vivono con il reddito di cittadinanza (con una media di 516 euro mensili); dove andrebbero senza questi aiuti in una situazione di accresciuta povertà per il Covid-19? E anche i 600 euro alle partite Iva non vanno disprezzati in una così grave recessione (ed è stata una vergogna che alcuni parlamentari e consiglieri regionali ne abbiano approfittato).
Tra metà ottobre e fine anno il Parlamento dovrà discutere l’utilizzo di oltre duecento miliardi di euro tra gli aiuti europei del Recovery-fund, il Mes (per la sanità), il Sure (per cassa-integrazione e nuovo lavoro); è una cifra immensa che non può essere utilizzata secondo criteri politici o secondo la voce di chi grida di più (contando sull’appoggio di alcuni grandi media).
È necessario coniugare il riformismo invocato da Draghi con l’attenzione ai più poveri e disagiati, secondo il costante appello di Papa Francesco contro “l’economia dello scarto”. S’impone uno spirito unitario e solidale, come nella prima fase della lotta alla pandemia.