(di Mario Berardi) Il Governo Conte ha molti problemi (il rapporto con le opposizioni, il difficile dialogo con Bruxelles, l’anarchia delle Regioni nella gestione del Coronavirus…) ma all’orizzonte politico non emergono alternative perché la linea anti-europeista di Salvini e Meloni (nel silenzio di Berlusconi) rende inagibile un governissimo con l’alfiere dell’Unità europea, Mario Draghi: i programmi sono inconciliabili.

La prova del nove è avvenuta sul Meccanismo europeo di Solidarietà: il ministro del Tesoro, il pd europeista Gualtieri, ha concordato a Bruxelles, tra le ipotesi di intervento, il ricorso eventuale al patto di stabilità. Salvini e Meloni hanno gridato al tradimento, a una nuova Caporetto, chiedendo subito le dimissioni del ministro. Il premier Conte, pur sbagliando una data, ha ricordato alla Lega e ai Fratelli d’Italia che il famigerato MES era stato avviato negli anni 2010 e 2011 dal governo di centro-destra guidato da Berlusconi, con ministro relatore Tremonti (che ha confermato); ha poi aggiunto che l’Italia non ricorrerà al MES (potrebbe ottenere 37 miliardi per spese sanitarie) perché punta, oltre ai 200 miliardi della Banca Europea degli investimenti e ai 100 miliardi UE per la cassa integrazione, ad altri massicci finanziamenti (almeno 500 miliardi) con gli euro-bond (avversati da Olanda e Germania) o con il fondo europeo per la ricostruzione.

Sui fondi MES (il cui utilizzo è facoltativo) Conte sorvola perché è contraria una parte sovranista dei pentastellati e quindi non avrebbe la maggioranza in Parlamento. In ogni caso è a Bruxelles che si gioca la partita decisiva e, certamente, non può esserci dialogo costruttivo con una linea di radicale contestazione all’UE, in una logica sovranista. Resta emblematico il diverso atteggiamento di Forza Italia perché riduce i consensi di Meloni e Salvini nell’attacco al Governo.

Accanto alle spine della rottura con l’opposizione e del duro confronto con la Merkel, il Governo deve preparare la “fase due” (della graduale uscita del Paese dall’isolamento): è stato dato un preciso incarico alla commissione di esperti presieduta dal manager Colao.

I sindacati (con Landini) e gli imprenditori (con Boccia) hanno dato una mano al premier affermando che il problema è “come” aprire in sicurezza, non “quando”, per evitare una drammatica recessione, con milioni di posti di lavoro a rischio.

Su questo difficile cammino emerge sempre di più il nodo dei governatori regionali: ognuno agisce per proprio conto, in assoluta autonomia, trasformando l’Italia in una Repubblica… a pelle di leopardo. Sulle prime aperture decise dal Governo, tre Regioni (Lombardia, Piemonte, Campania) hanno detto no, con delibere di segno opposto. Altre hanno camminato in avanti, con nuove aperture, dal Veneto alla Liguria passando per il Trentino. Ma quale credibilità interna ed estera potrebbero avere le nuove scelte del Governo sulla ripresa economica e sociale se le Regioni continuassero a ignorare le decisioni di Roma? Quale programmazione seria potrebbe compiere il Paese, anche sul piano finanziario?

È vero che la riforma dell’articolo V della Costituzione, voluta dai governi D’Alema e Amato, ha creato confusione nei rapporti tra lo Stato e le Regioni; ma ora l’emergenza è così drammatica da non consentire incertezze: come ha detto l’ex presidente della Corte Costituzionale, Flick, è in gioco l’unità dello Stato.

Rinunciando al braccio di ferro con il Governo, le Regioni potrebbero meglio dedicarsi ad affrontare il vero scandalo di questa apocalisse sanitaria: l’abbandono degli anziani in molte Rsa, con livelli di mortalità altissimi, come hanno denunciato (anche in Piemonte) gli Ordini dei Medici. Occorre riflettere sullo scarico di responsabilità (tra pubblico e privato) nei confronti degli anziani, divenuti veramente quello scarto umano da sempre denunciato da Papa Francesco.

Un rinnovato rapporto costruttivo tra Stato e Regioni è necessario anche per valorizzare le molte iniziative positive di queste settimane di guerra al coronavirus, a cominciare dall’eroismo di medici, infermieri, volontari, sacerdoti e religiosi (oltre cento vittime)… Analogamente è necessario, per il Paese, rilanciare la funzione essenziale del Parlamento, rimasto in ombra nel duro scontro tra esecutivo e opposizione; sono necessarie meno presenze in tv e maggiori confronti nelle aule di Camera e Senato.

La battaglia contro l’epidemia sarà ancora lunga ed esigerà da tutti grande senso di responsabilità, avendo come obiettivo il bene comune, non la vittoria o la sconfitta di una parte, politica, economica, sociale.