(Mario Berardi)

 

La disaffezione delle urne ha colpito in egual misura Italia e Francia: metà degli elettori sono rimasti a casa nel voto amministrativo (Roma) e legislativo (Parigi), come avviene solitamente nelle presidenziali statunitensi: nelle società del capitalismo avanzato la partecipazione democratica, nonostante il suo insostituibile valore, si sta affievolendo. I grandi partiti del Novecento (Dc, Pci e Psi in Italia, Gollisti e Socialisti di Mitterand in Francia) sono praticamente scomparsi e non sono stati sostituiti; inoltre la globalizzazione ha attutito in alcuni settori della popolazione il primato della politica e del “bene comune”.

Ancora più marcato il flop del referendum sulla giustizia: alle urne appena 1 elettore su 5 ! Ma questa debacle era prevista da tutti i sondaggi per la dimensione tecnica dei quesiti, per la concomitante iniziativa legislativa della ministra Cartabia, per lo strano connubio dei promotori: i radicali super-garantisti, i leghisti di Salvini, da molti ritenuti “il partito delle manette”.
Il voto, sul piano politico, rende più deboli sia Draghi sia Macron, ma senza alternativa per la parcellizzazione dell’elettorato. A Parigi il Presidente e il suo competitor Mélenchon sono sul 25%, a Roma Letta e la Meloni si contendono il primato sul 20%. Per Palazzo Chigi il primo problema è il crollo del M5S, primo partito in Parlamento (ebbe il 33% alle politiche del 2018), ora ridotto ai minimi termini: 6% a Palermo, 4 a Genova, 3 ad Asti e Alessandria, 1 a Cuneo e Rieti… Il leader Conte stenta a gestire un Movimento passato dal voto anti-sistema alla partecipazione al Governo, dal sovranismo all’atlantismo, dalle simpatie per Putin del fondatore Beppe Grillo alla linea occidentale del ministro degli Esteri Di Maio; oggi Conte minaccia la crisi di governo (osteggiata dai suoi parlamentari), e le richieste a Draghi, dalla politica estera a quella economica, possono mettere in fibrillazione l’Esecutivo, anche in vista delle nuove misure contro la crisi economica, con la BCE divenuta improvvisamente insensibile alle esigenze dei Paesi del sud-Europa.

Sul piano elettorale la crisi del M5S ha indebolito il centrosinistra, nonostante la buona tenuta del Pd; è in discussione la linea Letta delle grandi intese, anche perché i Centristi di Calenda e Renzi hanno ribadito il “no” all’alleanza con i Pentastellati.

Le divisioni a sinistra hanno favorito il prevalere del centrodestra, che si è presentato unito in 21 Capoluoghi di provincia su 26, da Genova a Palermo. In questa alleanza il fatto nuovo è il sorpasso della Meloni su Salvini, anche al Nord: la leader di FdI ha chiesto a Lega e Forza Italia di uscire dal governo; Salvini e Tajani (indeboliti) hanno risposto negativamente, ma è già cominciata la corsa della Lega a chiedere nuove misure economiche a Draghi, per giustificare la propria presenza nell’Esecutivo. Il pressing sarà particolarmente intenso nella preparazione della prossima finanziaria: qui i due partiti sovranisti sconfitti dalle urne (M5S e Lega) potrebbero unirsi contro Draghi per esigenze elettorali.

Il voto amministrativo rende ancora più incerte le politiche di primavera, anche perché il leader centrista Calenda si propone come Terzo Polo per impedire maggioranze in Parlamento e favorire nuove soluzioni alla Draghi.

Crescono intanto le sollecitazioni “esterne” sui due partiti maggiori: al Pd di Letta il quotidiano “Avvenire” ha chiesto di ripensare il voto europeo a favore dell’aborto, criticando in particolare la chiusura verso l’obiezione di coscienza dei medici; sui temi sociali i sindacati propongono più attenzione per l’automotive, con date meno incalzanti per il bando alla vendita dei motori diesel e a benzina. A FdI della Meloni i fogli confindustriali sollecitano un ripensamento della collocazione europea “nazionalista”, mentre da diverse ONG permane la contestazione della politica dell’immigrazione; per la leader di FdI, che punta a Palazzo Chigi, l’alt più insidioso è venuto da Tajani: le scelte sul Governo toccano al Capo dello Stato.

La crisi della politica, confermata dalle urne, va affrontata con il superamento del leaderismo e con la proposta concreta di programmi, valori e alleanze compatibili.