La rapida liberazione di Cecilia Sala ha migliorato nei sondaggi d’opinione il gradimento della premier Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia (valutato al 30%, contro il al 22-23% del Pd). Permane tuttavia inalterato il distacco tra politica e opinione pubblica: secondo Alessandra Ghisleri, sondaggista-profeta dell’ascesa di Berlusconi, il 50% degli elettori é schierato sull’assenteismo.
Meloni e Schlein, le protagoniste del bipolarismo all’americana, sembrano privilegiare il controllo delle rispettive aree politiche: la premier con un’accentuata personalizzazione dell’azione di governo, la segretaria del Pd con un accresciuto controllo del partito (il quotidiano “Il domani” vicino ai Dem, scrive che “il dibattito interno langue”).

Emblematica la vicenda del terzo mandato per i Presidenti regionali (concesso in passato a Veneto, Piemonte…): il Governo ha fatto ricorso alla Consulta contro la “leggina” della Campania, bloccando di fatto la ricandidatura del Governatore De Luca (Pd); l’iniziativa, che ha ottenuto il consenso della Schlein, colpisce contemporaneamente le aspirazioni del governatore del Veneto Zaia; la Lega ha protestato in Consiglio dei Ministri, invano.

La premier è insoddisfatta dei rapporti con Salvini, non solo per il discusso operato al Ministero dei Trasporti; crea imbarazzo politico l’opposizione del Carroccio al Governo europeo di Ursula von der Leyen, in cui è presente il Commissario Fitto, “pupillo” della Meloni; inoltre Fratelli d’Italia, che punta alla guida del Veneto, vede in Zaia un possibile concorrente alla guida del Carroccio, al posto di Salvini. In casa Pd il Governatore De Luca è considerato un avversario storico della Schlein, con un forte appoggio locale; la sua sostituzione è vista positivamente, nonostante i rischi di perdita delle elezioni a Napoli (già due candidati-governatore, il sindaco Manfredi e l’ex presidente della Camera, Fico, si sono ritirati).

Campania e Veneto sono Regioni importanti e meriterebbero dai leader della politica nazionale un’attenzione diversa, più incentrata sui programmi futuri e su una valutazione obiettiva del lavoro svolto. Sembra invece prevalere l’antico motto: “cuius regio, eius religio”.

Sul versante politico “romano” va poi rilevato che la maggioranza di governo punta in modo prioritario alla riforma della Giustizia, con la separazione delle carriere tra PM e giudici togati, nonostante la ferma opposizione del Terzo Potere, che denuncia una violazione del dettato costituzionale sull’autonomia dei magistrati. La premier è agevolata dalla linea dei centristi (Azione e Italia Viva), favorevoli alla proposta del ministro Nordio. Questa scelta di Calenda e Renzi rende ancora più difficile il cammino del “campo largo”, già ostacolato dalla permanente critica dei Pentastellati alla leadership della Schlein (basta leggere le interviste dell’onorevole Appendino e gli editoriali di Marco Travaglio sul foglio amico, “Il Fatto quotidiano”).

Restano invece in sospeso le riforme istituzionali sul premierato e sull’autonomia regionale indifferenziata (legge Calderoli). Quanto ai poteri del premier, Meloni li ha già rafforzati in questi suoi due anni di governo, col ruolo marginale cui ha relegato gli alleati Tajani e Salvini e con il Parlamento subissato di decreti-legge. Sulla autonomia è attesa la sentenza della Corte costituzionale in merito alla legittimità del referendum popolare, dopo le modifiche imposte alla legge dalla stessa Consulta.

Va peraltro rilevato che la Corte costituzionale è al limite delle sue funzioni, priva di quattro membri; è sufficiente la malattia di un giudice per far mancare il quorum per decidere;. Il bipolarismo all’italiana, il clima da permanente campagna elettorale ha sinora ostacolato un accordo positivo tra Governo e opposizione. Non è un segnale positivo per le istituzioni democratiche, in considerazione del ruolo di garanzia che la Carta assegna alla Consulta.

L’appello rinnovato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per un’intesa super partes è sinora caduto nel vuoto. Il rischio è di continuare in questo clima di rissa permanente nei prossimi due anni di vita della legislatura, con negative conseguenze per la ricerca del “bene comune”, a cominciare dai gravi problemi sociali, dal lavoro all’immigrazione, dalla sicurezza dei cittadini alla tutela dell’ordine pubblico. Il Parlamento deve recuperare una funzione propositiva, non di semplice ratifica dei decreti-legge.