(di Graziella Cortese)
L’argomento è stato più volte trattato in ambito cinematografico: l’idea di poter “tornare indietro”, di evitare una morte prestabilita e viaggiare nel tempo.
Ispirandosi a due libretti di Francesco Piccolo, il regista Daniele Luchetti ha cercato di portare in scena una tematica ponderosa con l’ausilio della leggerezza: operazione non così semplice, a causa di una sceneggiatura a tratti frammentaria che non ha dato fluidità alla narrazione.
Paolo è un giovane ingegnere che lavora a Palermo, diviso tra famiglia e partite di calcio al bar con gli amici. È sempre stato un po’ infantile e stralunato, a volte si concede qualche piccolo brivido come attraversare l’incrocio nell’attimo in cui tutti i semafori sono rossi. Ma questa volta gli va male: Paolo e il suo motorino vengono sbalzati in aria da un camion e il protagonista muore. Si ritrova così catapultato nel centro di smistamento delle anime (che somiglia agli uffici delle Poste) e lì un misterioso angelo-impiegato scopre che c’è stato un errore: grazie all’utilizzo di centrifughe salutari il giovane ha ancora diritto ad un po’ di tempo prima della dipartita, esattamente un’ora e 32 minuti. Cosa fare quindi, in quest’ultimo scampolo di esistenza terrena? La resa dei conti di Pif con il suo disorientato languore a volte disorienta gli stessi spettatori.
L’argomento è profondo, e i momenti di piccola felicità inaspettata possiamo conoscerli tutti i santi giorni: una lettera imprevista, un disegno a forma di fiore con il cacao del cappuccino, qualcosa di ritrovato che si credeva perduto…
Gli autori avevano a disposizione una lunga cinematografia di genere per trarre qualche spunto, da “Il paradiso può attendere” a “La vita è meravigliosa”, “Ghost”, o lo stesso Ritorno al futuro che viene citato nel film.
Il compito più complesso era creare momenti di cinema che non fossero trascurabili.