E’ stato consegnato, ieri martedì 19 febbraio, a Roma al Ministro delle Autonomie e degli Affari Regionali Erika Stefani il dossier con le proposte formulate dal Tavolo “Innovazione Sostenibile e Imprese in Montagna”, istituito nell’ambito degli Stati Generali della Montagna.
Quello dello sviluppo dell’economia delle “terre alte” è un tema molto sentito anche da Confindustria che già a inizio 2018 ha voluto scendere in campo a favore della montagna italiana, dalle Alpi agli Appennini, e lo ha fatto creando “Confindustria per la Montagna”, una rete interna al sistema associativo composta dalle territoriali (tra cui Confindustria Canavese) e dalle federazioni regionali interessate a promuovere lo sviluppo delle terre alte attraverso progetti, provvedimenti e politiche pubbliche coerenti e finalizzate a sostenere la crescita economica e sociale di queste aree connotate da una riconosciuta e oggettiva specificità.
“Senza impresa – ha dichiarato Patrizia Paglia, presidente di Confindustria Canavese – non c’è futuro per le Terre Alte. Ed è da questo punto che deve partire ogni programmazione per questi territori. Con una premessa fondamentale: prima di tutto serve un nuovo immaginario collettivo della montagna. Bisogna uscire dalla rappresentazione di queste aree come regno della natura non contaminata dall’attività umana, dove l’ecologia è possibile in quanto altra rispetto alla dimensione produttiva. Luoghi senza economia, senza lavoro, senza trasformazione della materia da parte dell’uomo e della tecnologia. Un immaginario, questo, tipicamente urbano, di chi non vive in montagna. Un immaginario che rimanda a una visione patrimonialistica dei territori.
Un immaginario che mal si concilia, però, con nuove e più incisive politiche di sviluppo delle Terre Alte, con progettualità di vita e di lavoro di nuovi potenziali montanari, con azioni e iniziative per il mantenimento del sistema di imprese, soprattutto manifatturiere, che generano occupazione e benessere anche ad alta quota. Un immaginario che, in ultima analisi, è ostile alla sopravvivenza stessa delle zone montane”.