Spesso si dice che le nuove generazioni siano per natura più propense a saper comunicare. Questo discorso lo si confeziona maggiormente in ambito digitale, come se saper usare mediamente meglio un cellulare fosse automaticamente sinonimo di spiccate capacità comunicative. Non è un post sui social che fa di una persona un comunicatore, né quante stories pubblica o quante interazioni ha.

È vero, siamo nati praticamente con il cellulare in mano; io ringrazio i miei genitori di rientrare in quella categoria transitoria di giovani che si sono avvicinati agli smartphone più tardi degli altri: l’ho avuto in prima media e sono cresciuto a libri e non a cartoni animati. È però anche vero che, nonostante i vari upgrades, il cellulare rimarrà sempre e solo uno strumento. Per fare un paragone, è come se sapessi usare la zappa ma non avessi idea di cosa seminare, di quando annaffiare e raccogliere e di come cucinarlo e conservarlo. Un’abilità quindi fine solo a se stessa.

In questi giorni ho avuto modo di tornare a vivere una realtà, di cui mi vanto di essere quantomeno co-fondatore insieme a due professori, che stimola i liceali a imparare sulla propria pelle cosa vuol dire comunicare. Agli albori l’attività si proponeva di sperimentare e studiare la comunicazione in tutti i suoi ambiti; oggi questo spirito non è cambiato, si è cresciuti riuscendo ad avere una redazione di studenti magari di soli 15 anni, una regia e dei tecnici audio/video. Tutto nel massimo divertimento e passione, ci tengo a sottolinearlo.

Questa realtà, orgogliosamente unica nel suo genere, è lo spunto per riflettere sulla necessità di formazione anche nel mondo della comunicazione, improntandola sul lavoro comunitario, l’imparare gli uni dall’altri e lo sperimentare quasi giocando. Ma sempre di formazione si tratta. Sono pieni i giornali, gli uffici stampa e le pagine social di improvvisatori, amatori con l’idea che basti un post per fare una campagna comunicativa, che basti la foto di gruppo per raccontare un evento, che basti copiare un comunicato stampa per fare un articolo.

Vale anche per le nostre realtà. Chiesa è Comunione, Comunione è Comunicazione. Respingerlo è continuare a sbattere come mosche contro il vetro. Diventa necessario inglobare sempre di più la comunicazione, promuovendo il suo studio e la sua applicazione.

E si riparta proprio dai giovani, frizzanti, formati e pieni di idee, pronti a portare entusiasmo e generosità. Senza dimenticare i meno giovani che hanno tutto per recuperare tempi e modi della comunicazione odierna.