(Ferdinando Zorzi)

I segni del Natale sono messi in discussione da molti anni. È ormai divenuto consueto parlarne in quello che per i cristiani è il tempo di Avvento, ma per il resto della società è una generica attesa di un periodo di feste e vacanze. Il presepio, a ottocento anni dalla sua invenzione, ha perso molto terreno in favore dell’albero di Natale, sia nelle case private sia negli edifici pubblici.

Probabilmente anche l’albero addobbato ha un’origine cristiana, ma ha progressivamente smarrito questo significato nel sentire comune: è stato “desemantizzato”, si direbbe nel linguaggio tecnico.

La stessa parola “Natale” è talvolta oggetto di rimozione: rimane in alcune canzoni delle recite dei bambini (mentre altre hanno temi molto più vaghi), ma viene sostituita negli auguri tra colleghi e in certi documenti ufficiali. E dire che il termine significa “nascita” ed è abbastanza innocuo alle orecchie dell’opinione pubblica, sebbene tutti (o quasi) sappiano chi è Colui che nasce. Peggio va al corrispondente inglese Christmas che, contenendo il nome messianico, viene spesso sostituito, con la scusa dell’abbreviazione, in X-Mas, – con il monogramma cristiano ridotto a quello che in matematica è il segno dell’incognita – e poi naturalmente, in questa forma anglicizzata, torna in Italia attraverso i media.

Si potrebbe continuare a lungo: tra gli animali, le onnipresenti renne di Babbo Natale hanno sostituito i tradizionali bue e asinello e, per quanto riguarda il canuto portatore di regali, ben pochi riescono ancora a vedervi il generoso San Nicola. E chissà quanti di quei ragazzi e di quelle ragazze che, l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale, si presentano con il cappello bianco e rosso sanno di avere in testa il derivato di una mitra vescovile.

In tutto questo forse c’è ancora un segno, semplice e universale, che sfugge alla manipolazione dei significati: la luce. Pur oggetto anch’essa di discussione (per il risparmio energetico) e in parte di travisamento (quanti soggetti non cristiani), l’accensione delle luci richiama immediatamente il Natale. Nel paese in cui abito, nell’ampio corso di accesso da sud, una lunga fila di luminarie accoglie chi arriva. Hanno forma di candela fiammante poggiata su un piattino con manico: ricordano quelle dell’altare pronto per la Messa, o le lampade delle vergini sagge. Ricordano San Giovanni Battista e quello che disse di lui il profeta Isaia: «Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce».

Ricordano che la Luce del mondo sta per arrivare.

Gv 1,6-8.19-28

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo».
Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?».
«Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose.
Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?».
Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei.
Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?».
Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.