Paola Perinetto dal 20 settembre scorso è stata nominata “garante” per i diritti dei detenuti, in sostituzione di Armando Michelizza che ha terminato il suo mandato di cinque anni.
Anche lei viene dal volontariato attivo in carcere per tanti anni, ed è forse per questa la ragione che il Consiglio comunale di Ivrea l’ha votata e scelta tra gli altri che pure avevano presentato la loro candidatura per ricoprire l’incarico nel prossimo lustro.
Classe 1968, originaria di Caluso, Paola Perinetto vive ad Ivrea. Al volontariato in carcere ci era arrivata “quasi per caso”; camminando per strada è attirata da un manifesto che pubblicizza la conferenza di Michelizza (suo predecessore) e di altri volontari della “Beiletti”. Entra, ascolta, aderisce e ne “esce” dopo 5 anni di attività. Cioè il 20 settembre scorso, quando ha rassegnato le dimissioni da vicepresidente della “Beiletti” per assumere il mandato di “garante”.
Abbiamo incontrato anche lei per conoscerla e per farci dire su quali basi poggerà il suo lavoro.
Paola Perinetto, come inizia la sua avventura di garante dei diritti delle persone private di libertà?
È un ruolo un po’ una continuità rispetto a quello che facevo prima. Sicuramente il fatto di essere garante mi offre la possibilità di avere degli strumenti per intervenire in modo più decisivo su alcune situazioni. Figura riconosciuta, c’è la possibilità di dare un maggiore aiuto perché si viene ascoltati.
Che visione ha, dopo anche tanti anni di volontariato, del carcere di Ivrea dove interverrà?
C’è tanto da fare. Il problema sono sempre le risorse e la formazione, e soprattutto la possibilità di inserimento delle persone quando escono dal carcere. La responsabilità, quindi, non è soltanto quella di garantire i diritti delle persone in carcere, ma anche garantire i diritti di queste persone quando escono, in modo che possano essere inserite di nuovo nella società e non ritornino a delinquere.
Ci sarà continuità con il mandato del suo predecessore Michelizza o avrà un’altra linea di intervento?
Sicuramente ci sarà continuità, anche perché ci sono delle attività iniziate proprio durante il suo mandato. Cito quella di incontrare i detenuti nelle celle, con la direttrice o il comandante, e questo la direzione mi ha chiesto di continuare a farlo, perché i detenuti si sentono ovviamente più ascoltati.
Così come è, il carcere è utile o no?
Non tanto. Il carcere come è impostato oggi è un luogo dove le persone soffrono, non vedono una via d’uscita, dove “vengono penalizzate”. Il carcere corrisponde un po’ alla nostra società; quindi potrà migliorare la sua funzione nel momento in cui ci saranno sempre più persone che nella società, spinti da un’azione di altruismo vogliono aiutare queste persone che hanno sbagliato. Persone che è giusto paghino la pena, ma è anche giusto abbiano poi una seconda opportunità, volta a favorire il loro reinserimento.
Ma si fa sempre più largo l’idea che oltre alla pena sia bene “buttare via la chiave”…
Esatto. Molti media non parlano di carcere, e quando ne parlano è sempre una condanna. In questo modo la popolazione pensa che all’interno del carcere ci siano dei mostri, mentre invece coloro che “questi mostri” li incontrano, si rendono conto che i mostri sono soltanto mentali e che di fronte ci sono degli esseri umani.
Quindi in che direzione bisogna andare?
Bisogna agire come essere umani nei confronti di altri esseri umani, e non sentirsi diversi ovvero separati. Finché c’è il pregiudizio, finché c’è un tenere distante la persona, sentire che quella persona è pericolosa o che ha sbagliato e che quindi non è degno di… allora non ci può essere un aiuto concreto.
Qual è la cosa del suo mandato che le dà più apprensione?
Mi conforta pensare di essere pronta e aperta ad ascoltare tutti i suggerimenti. Ciò che mi piace molto è che in Piemonte è stato organizzato un gruppo di collaborazione tra i garanti delle altre carceri e quindi quello che magari si verifica a Ivrea è già stato affrontato in un altro carcere negli anni precedenti. Questa collaborazione è una marcia in più.
Immagina di scuotere anche un po’ la società civile eporediese sul tema del carcere?
Ogni opportunità sarà valida. A fine mese avrò un intervento nelle scuole di Pavone Canavese, insieme alla direzione, ai volontari e con i detenuti che hanno fatto un percorso e si sono ravveduti e ora stanno facendo di tutto per condurre una vita che molto spesso persone fuori dal carcere non conducono, con sani principi… Io credo molto che parlando ai giovani, questi porteranno il messaggio a casa, ai genitori, ai nonni, alle famiglie e lo diffonderanno.
Vedrà adesso il volontariato da un altro punto di vista?
Io collaborerò sempre con il volontariato, da sola non potrei fare proprio nulla.
La politica sta intervenendo in modo favorevole per il carcere, o no?
Si è sempre parlato molto di carcere, ma si è fatto poco. È un argomento che non porta voti, e quindi se ne parla in alcuni momenti e poi dopo si dimentica. C’è così tanto da fare che la politica non potrà non prendersi in carico delle decisioni importanti riguardo al mondo carcerario.
Quali attività sarebbero utili?
Qui ad Ivrea vengono già fatte diverse attività, ma il limite è la struttura perché non ci sono degli spazi adeguati. Si potrebbe anche pensare a qualche forma di lavoro, ma non è possibile perché non ci sono gli spazi e la logistica non lo permette.
Il suo predecessore, nella sua relazione finale, scrive che la punizione non è tanto la privazione della libertà quanto il passare vuoto del tempo, giornate interminabili e senza nessuna visione.
Certo. Siamo soliti dire che il tempo è denaro: in questo caso è una vita buttata via, perché quando una persona sta nella cella e per interi giorni non incontra nemmeno uno psicologo (che ha pochissime ore e cura già le persone più bisognose) allora non può da solo fare quel salto, vedere che cosa ha fatto, migliorare e tornare a essere utile in qualche modo. Abbiamo tantissime persone che dal punto di vista operativo potrebbero fare delle cose, e sentirsi utili di nuovo alla società.
Per chi esce dal carcere il tasso di recidiva è molto alto…
Purtroppo si parla del 70% a livello nazionale. Ho incontrato tanti detenuti presi dall’angoscia quando sapevano che si avvicinava la scarcerazione; quando una persona non sa dove andare e non sa di che cosa vivere, la prima cosa che fa è tornare a fare la cosa che faceva prima di entrare in carcere. Il carcere diventa un po’ una casa per alcuni, dove trovano delle persone a disposizione, dove può esserci un volto amico, un ambiente che conoscono che alla fine diventa familiare.
Intende che sono più protetti all’interno che all’esterno?
Molti non vogliono affittare un alloggio a un ex detenuto e se anche hai pagato la tua pena molti non ti assumono. Per un ex-detenuto tutto è più difficile.