“Ti seguirò, Signore, perché tu avanzi verso la verità dell’uomo, accrescimento sei d’umano, e rendi sicuro ogni passo, non lasciandoti dietro altro che luce.” Ermes Ronchi
(elisabetta acide) – Ormai sappiamo che i social sono veicoli di comunicazione, di riflessione e a volte offrono spunti per aiutarci a riflettere in modo personale.
A volte siamo troppo attenti alle immagini tanto che ci perdiamo le parole, delle quali invece, abbiamo tanto bisogno.
Un mattino di aprile, leggo su un social:
Tu Signore,
non smetti di avere fiducia in me
e mi dici ch potrò ancora tirare fuori qualcosa di
buono da queste mie reti vuote e sfilacciate….
Tu Signore,
mi inviti a riprendere il largo verso l’orizzonte più
ampio sconfinato, sfidando il rischio e la paura di
perdere ancora, provando a fidarmi del mio
cuore,
improvvisando i miei gesti e le mie azioni,
lasciandomi attraversare da quel brivido antico e
sempre nuovo che si chiama amore.
Belle queste parole “umane” intrise di quella delicatezza e di quella “inquietudine” tipiche della cura, che ci racconta le fatiche di un “prete”, forse di un parroco, di un sacerdote preoccupato per la “pesca”, di un uomo di Dio forse scoraggiato perché i suoi tentativi di raccolto ancora non hanno dato frutto.
Certo i social non sono il massimo dell’interazione, personalmente preferisco il face to face, ma quando anche i social sanno “comunicare” allora cogliere l’occasione diventa un momento importante, perché le parole, non sono mai “neutre”, ci raccontano le persone, le idee, i pensieri…
Mi sorge allora, una riflessione:
Quanto è difficile fare il prete, ancora di più fare il parroco?
Spesso lo diamo per “scontato”, è una scelta di vita, eppure un sacerdote è un uomo, un uomo di Dio, ma un uomo.
Non è una novità: ogni epoca, dice la storia, ha avuto le sue fatiche e la “pesca” o la “semina”, che sappiamo essere immagini evangeliche, richiedono tempo, fatica, coraggio, perseveranza…, si passa attraverso la delusione, l’inquietudine, lo scoraggiamento, si alternano momenti di coraggio e di soddisfazione, ad altri dove il cuore è triste e preoccupato.
Siamo comunità parrocchiale, abbiamo un sacerdote, un parroco da due anni, don Valerio, lo abbiamo accolto, abbiamo provato a camminare con lui, siamo stati a “guardare”, a volte ci siamo avvicinati, lo abbiamo “fatto avvicinare” a noi, oppure lo abbiamo “tenuto a distaza”, avevamo bisogno di conoscerlo, di “prendere confidenza”, di provare a “costruire” un legame…
Abbiamo un parroco, quanto lo abbiamo sostenuto ed aiutato?
Spesso, come parrocchiani, chiediamo al sacerdote delle “cose”, messe, sacramenti, disponibilità… pretendiamo la sua presenza, la sua collaborazione… ma ci siamo mai chiesti: lui che cosa vuole da noi?
Abbiamo un parroco… ci siamo “adattati” a lui e lui a noi… Proviamo allora a chiederci ed a chiedere: quanto lo conosciamo?
Quanto ci siamo fatti conoscere?
Abituati ad uno “stile”, forse ci aspettavamo altro… o forse non ci siamo neppure troppo sforzati di comprendere come cominciare il cammino con lui.
Fare il sacerdote ed il parroco oggi, non è solo una “missione”, una “scelta, una “vocazione”, una “risposta ad una chiamata” … è molto di più.
Nominato in una parrocchia (o in due, come nel nostro caso, con altri diversi incarichi vicariali e diocesani), al prete è richiesto molto: non solo celebrazioni, amministrazione, gestione di una unità parrocchiale, un prete inizia il suo ministero e scopre che gli è richiesto di partecipare a un’infinità di riunioni, talvolta ripetitive e non ben coordinate: gli organismi di corresponsabilità parrocchiale, vicariale e perfino diocesana reclamano la sua presenza. Bello questo! Tutti hanno bisogno del parroco.
Ma il parroco di che cosa ha bisogno?
Nei confronti di questa dimensione, per lo più imprevista, non raramente egli si dimostra ai nostri occhi “indisponibile”, troppo di corsa, troppo impegnato, le ore della giornata sono 24 anche per lui, a volte manifesta il suo disinteresse mancando sistematicamente agli incontri, altre volte snobbando gli orientamenti presi insieme, altre volte… e noi pronti sempre a rimproverare…
E noi?
Come ci “rapportiamo” a lui?
Quanto abbiamo compreso le sue parole, quanto le abbiamo ascoltate?
Quanto ci siamo “lasciati ascoltare”?
Abbiamo un “prete giovane”, al suo primo incarico come parroco, in lui vivono il desiderio di riuscire, di fare del proprio meglio, misto ovviamente ad un po’ d’inesperienza, normale, e meno male anche i sacerdoti, come uomini devono “fare esperienza”, devono capire quanto i loro progetti pastorali sono realizzabili nelle comunità a loro affidate o quanto seppur belli ed interessanti, i progetti vanno per un momento abbandonati in vista di “tempi migliori”, per consentire alle comunità di percorre insieme la via a Cristo, altrimenti rimangono solo sogni dei sacerdoti.
Abbiamo un “giovane prete”, che ha già fatto le sue esperienze di viceparroco in diverse comunità decisamente maggiori della nostra, sicuramente diverse, necessariamente diverse, ed allora mettiamoci in ascolto, proviamo a “dialogare” con lui, proviamo a comprendere le sue parole, quale cammino vuole farci compiere.
Abbiamo un sacerdote, non siamo soli, sono sicura abbia compreso le potenzialità di ciascuno, vuole camminare con noi, forse i suoi passi sono quelli della giovinezza, dell’energia delle scalate in montagna, dell’ebbrezza delle alture e noi siamo ancora nella pianura, rallentiamo la corsa, o al contrario, siamo noi che abbiamo fretta, che “pretendiamo” e “non comprendiamo”.
Abbiamo un “prete giovane” che porta la forza della sua giovinezza, degli inizi del suo ministero, con l’entusiasmo della sua formazione, con l’esempio dei sacerdoti che ha conosciuto e dei quali cerca di trarre il meglio degli insegnamenti con la novità delle sue idee, della sua persona.
Abbiamo un “prete giovane”, aiutiamolo ad essere un “giovane prete”, con l’entusiasmo dell’annuncio gioioso, con l’accoglienza delle proposte, con l’umiltà del mettersi in discussione, con l’ascolto attento, aiutiamolo ad essere “pastore” di comunità, affinché possa mettere al servizio le sue qualità umane e spirituali e le ricchezze personali nella nostra comunità.
Abbiamo un sacerdote che è “dono” per la comunità: aiutiamolo, con la nostra reciprocità, il nostro impegno, il nostro “esserci”, cerchiamolo, non aspettiamo che ci venga a cercare, ascoltiamolo, le parole del parroco sono le parole di Cristo.
Abbiamo un parroco, non sarà magari ancora un “esperto pescatore”, ma ci garantisce la presenza di Cristo, Pastore, tra noi. Come parrocchia, come fedeli siamo il “mare aperto”, il “terreno” della Parola di Dio, celebriamo con Lui l’Eucaristia, in comunione, nella comunità, e solo allora saremo davvero “comunione”.
Abbiamo un sacerdote, facciamo i “pesci” affinché possa pescare, senza snaturarci, nuotiamo nel mare della nostra esistenza, ma proviamo a “farci catturare” da Cristo, dall’annuncio del Vangelo attraverso il nostro parroco.
Anche alcuni degli apostoli erano pescatori, sapevano gettare le reti, ripararle, lavarle, mantenerle in buono stato, raccogliere e vendere il pesce pescato… eppure a loro è stato insegnata un’altra “pesca”, sono diventati “pescatori di uomini”, sono prima “stati pescati nella rete”, una rete che non “ingabbia” ma che rende liberi, una rete che è incontro, una rete che è comunità, una rete che “fa vivere Cristo in noi” (San Paolo).
Gli apostoli sapevano perfettamente dove andare a pescare sul lago, dove trovare i pesci in abbondanza, dove seguire la rotta dei loro spostamenti…sono diventati esperti di cuore e di sguardi per annunciare la Parola, quella che è “abbondante” “ricca” come una pesca che sfama, quella che salva.
Allora diventiamo “pesci”, perché anche don Valerio, nostro parroco, possa con quella rete, portarci a riva e raccontarci la Bella notizia del Vangelo che è per noi, ma che è con noi, nella nostra comunità.
Redazione Web