(Graziella Cortese)
È stato definito il più grande ballerino di tutti i tempi… E che la sua vita avesse i contorni della leggenda lo si poteva desumere già dalla nascita: la madre di Rudolph Nureyev partorì sul vagone di un treno, mentre viaggiava nella landa desolata del lago Baikal in Siberia.
Il film di Fiennes è suddiviso in tre parti, che rispecchiano particolari momenti della vita dell’artista: l’infanzia, l’affermazione artistica in Russia e il trasferimento a Parigi.
Rudolph da bambino vive nella gelida città di Ufa: è un talento naturale e ribelle, che mal sopporta le imposizioni: così comincia a inseguire il suo sogno nella scuola di danza di Leningrado. A ventidue anni entra a far parte della rinomata Kirov Ballet Company e conosce gli insegnanti che lo conducono a una formazione tecnica perfetta. L’anno 1961 segna il “passaggio all’ovest”: avido di conoscenza e di nuove esperienze Nureyev, con abito scuro e berretto in testa, si trasferisce a Parigi, dove incontra Clara Saint che diverrà sua amica, confidente e complice; il mondo della capitale francese è ricco di fascino, ma il protagonista, posto sotto osservazione dal Kgb, attira lo sguardo crudele dei servizi segreti che lo spingeranno a scelte definitive.
Il regista Ralph Fiennes si è ritagliato un ruolo all’interno della pellicola: è il maestro di danza Alexander Pushkin e ha basato la sceneggiatura sul romanzo biografico di Julie Kavanagh. La storia, che dovrebbe essere appunto la rappresentazione spettacolare di una leggenda, si appiattisce però su canali stereotipati e accenna soltanto a temi importanti come l’omosessualità e la lettura politica.
L’interpretazione di Oleg Ivenko, pur molto seria e impegnata, è ordinaria e non regala le emozioni che ci saremmo attesi (forse abituati alle performance di Roberto Bolle): del resto in russo il corvo bianco, the white crow, è colui che rompe le regole…