Quale ruolo per l’Italia in Europa dopo i vertici di Bruxelles e il crollo elettorale a Parigi del liberale Macron? Gregario o comprimario? E la Meloni continuerà a svolgere un difficile e ambiguo doppio ruolo (Presidente del Consiglio, Presidente dei Conservatori europei) o compirà una scelta definitiva tra europeismo e sovranismo?
L’inquilina di Palazzo Chigi, per la Costituzione repubblicana, rappresenta tutto il popolo italiano, di maggioranza, di opposizione, astenuto; il Presidente di partito esprime una fetta di elettorato (quasi il 30% dei votanti, il 15% sulla totalità); c’è un obiettivo conflitto di interessi che può ostacolare un buon risultato a Bruxelles per il Paese. Nei vertici europei l’Italia, con il sovranista Orban, si è differenziata nel voto sulla “troika” proposta: la Popolare von der Leyen alla guida (riconfermata) dell’Unione, il Socialista Costa presidente del Consiglio, la lettone Kallas, Liberale, alto commissario per la politica estera. Il dissenso ha riguardato il peso dell’Italia nel nuovo governo di Bruxelles (ancora da definire) o l’ostracismo di popolari, socialisti, liberali al gruppo di destra dei Conservatori? E le future mosse valuteranno l’assegnazione dei dicasteri ai singoli Paesi o lo spazio politico per i Conservatori?
Il quadro è ulteriormente complicato perché i tre partiti di governo FdI, Forza Italia, Lega, si muovono in ordine sparso, specie dopo l’ascesa in Francia di Marine Le Pen; Salvini tenta di accreditarsi come “vero alleato”, contro la Meloni, mentre Tajani è fermo agli impegni europeisti dei Popolari e della von der Leyen. Tre voci dissonanti. Un solo esempio: il candidato-leader della Le Pen, Bardella, non ha nascosto in passato le sue simpatie per Mosca, mentre Meloni e Tajani sono schierati con l’Occidente e la Nato. Come reagirà Salvini? Avremo una Lega di governo e di opposizione aperta? Un’Italia “a pezzettini” avrà spazio adeguato nel consesso europeo o si evidenzierà lo scontro tra le formazioni di destra?
A sinistra Pd e Verdi sono favorevoli alla von der Leyen, purché eviti accordi con i Conservatori della Meloni; Conte non si è ancora pronunciato ma i Pentastellati hanno già votato, nella scorsa legislatura, la “pupilla” di Angela Merkel; i Centristi sono fuori dal Parlamento di Strasburgo; a questa sconfitta si aggiunge per Calenda e Renzi il disagio per il tracollo del loro leader, Macron; tra l’altro i sondaggisti parigini hanno segnalato una perdita dell’elettorato presidenziale nella componente cattolico-moderata delusa anche per la scelta macroniana di inserire nella Costituzione “il diritto d’aborto”. Un segnale non solo francese.
Il vento transalpino ha indotto la Schlein a rilanciare, da Bologna, “il campo largo” contro le destre, raccogliendo un invito dell’Anpi. Favorevoli Bonelli e Fratojanni, con cautela Conte (che ha contro i sondaggi e gli orfani di Grillo), assenti i centristi.
Nel confronto con Parigi manca tuttavia un tassello essenziale: Mattarella non è Macron, mai avrebbe sciolto il Parlamento per “un capriccio” o “una vendetta”, come scrivono i fogli transalpini. E la nostra Costituzione, parlamentare e pluralista, non consente “l’uomo solo al comando” o l’arcaico bipolarismo Usa. Il Quirinale si pone come garante delle Istituzioni, super partes, arbitro obiettivo dello scontro democratico tra maggioranza e opposizione, senza interessi di parte.
Per il bene del Paese occorre riflettere (siamo ancora in tempo!) sulla proposta di “premierato elettivo” che ci avvicinerebbe a Parigi e agli Stati Uniti, due modelli occidentali ormai usurati. La politica è servizio alla comunità, senza esclusioni, non occupazione esclusiva del potere da parte del vincitore delle elezioni. E la società moderna, come ricordava Aldo Moro, è particolarmente complessa, non riconducibile allo slogan antico “destra-sinistra”.
Va infine rilevato che è partita la “guerra politica” sulla nuova legge Calderoli (autonomia regionale differenziata): il Veneto ha già chiesto le attribuzioni di competenza (ma non si dovrebbe attendere il varo dei dep, con i finanziamenti adeguati da parte dello Stato a ogni Regione, non solo quelle “ricche”?). All’opposto i partiti di opposizione e molte associazioni (tra cui le Acli) hanno aperto la raccolta delle firme per il referendum abrogativo di una legge ritenuta “discriminante” tra le Regioni e i cittadini.
Mentre il Veneto scalda i motori, la Sicilia chiede una tregua di almeno due anni. Avremo sui servizi essenziali, tra cui la Sanità, l’Italia di Arlecchino?