(Mario Berardi)
La variante africana Omicron contagia anche la politica italiana: l’idea di elezioni anticipate sembra tramontata (tranne che per Giorgia Meloni) e tutti i leader della larga maggioranza – da Letta a Salvini, da Conte a Berlusconi, da Renzi a Calenda – si sono pronunciati per il mantenimento del Governo Draghi sino alle elezioni politiche della primavera 2023. La priorità è la lotta alla pandemia, senza dimenticare l’attuazione del piano europeo di ripresa e resilienza. Questa scelta sembra allontanare l’ipotesi Draghi al Quirinale, mentre cresce la spinta per una conferma di Mattarella o, più probabilmente, per una candidatura femminile: in pole position la ministra di Giustizia Marta Cartabia, la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, l’ex ministra del Governo Monti Paola Severino. Da fonti diverse, come Romano Prodi (patron di Letta) o Matteo Renzi (il “rottamatore”) sono giunti inaspettati inviti all’unità.
I rapporti tra il premier e i segretari di partito della coalizione non sono tuttavia idilliaci: Conte, Letta, Salvini vorrebbero un maggior ascolto, anche se hanno garantito la stabilità; all’opposizione permane FdI, sia sul patto Francia-Italia, sia sul “Super Green-Pass”, una misura fortemente voluta dai Governatori della Lega, in primis Fedriga, presidente di turno dei leader regionali.
Lo status-quo istituzionale non è determinato solo dal riesplodere della pandemia, ma anche dalla permanente difficoltà dei due poli, sul piano politico e programmatico. Nel centro-sinistra permane impossibile la strategia delle larghe intese dai Grillini ai Centristi, mentre lo stesso segretario del Pd s’interroga sulla linea del partito, rilevando la ripresa tra i giovani, con la contemporanea caduta tra i lavoratori, base storica della sinistra; dopo la sconfitta sul ddl Zan, Letta è molto prudente sui temi etici: alla sinistra del partito che chiede una scelta netta sui referendum su eutanasia e cannabis, ha risposto che sono temi delicati su cui occorre una consultazione di tutta la base, senza fughe in avanti. Non è un mistero che la componente cattolico-democratica abbia idee opposte rispetto alla linea socialista-libertaria. Una scelta non facile, dirompente. Si aggiungano le divergenze sui rapporti con i Grillini: scelta strategica, irreversibile, o semplice alleanza tattica?
Nel centro-destra cresce la distanza tra la Meloni e l’intesa Berlusconi-Salvini, anche per i cambiamenti intercorsi nella linea politica della Lega: il Segretario rimane al comando (anche con il rinvio della prevista conferenza programmatica), ma l’asse Giorgetti-Governatori del Nord ha imposto un pieno sostegno alla maggioranza, in accordo con i Forzisti.
Le difficoltà nelle due coalizioni potrebbero anche condurre, dopo il voto sul Quirinale, a una modifica in senso proporzionale della legge elettorale, secondo il modello tedesco.
Il Governo, tuttavia, ha ben più urgenti problemi nei rapporti con le forze sociali ed economiche, in particolare sulla riforma del fisco.
Cgil-Cisl-Uil hanno avuto un incontro infruttuoso con il ministro dell’Economia Franco: contestano la scelta di privilegiare il ceto medio nella riduzione delle tasse e chiedono attenzione per i redditi più bassi, accrescendo la mobilitazione dei lavoratori. All’opposto la Confindustria insiste per la riduzione degli oneri sociali, rilanciando l’attacco al reddito di cittadinanza, difeso strenuamente dai Grillini.
L’Esecutivo ha inoltre nuovi ostacoli con Bruxelles: la Commissione Europea ha approvato il bilancio statale 2022, ma ha lanciato un pre-allarme sul deficit, forse per il nuovo vento rigorista proveniente dalla Berlino post-Merkel; in altre parole si sono ristretti i margini di spesa dell’Italia nei prossimi anni.
Anche per questo Draghi ha stretto un’intesa con Macron contro il ritorno al patto di stabilità (previsto nel 2023); sulla stessa lunghezza d’onda Berlusconi che ha ipotizzato per il premier italiano un ritorno sulla scena europea (al posto di Ursula von der Leyen nel 2024?).
In concreto tutto ruota attorno al premier, ma solo rendendo più difficile il rapporto con i partiti della maggioranza, schiacciati tra le esigenze dell’emergenza Covid e la preparazione di una nuova normalità. Per questo i legami tra Draghi e i leader della coalizione dovrebbero uscire dalla condizione dell’emergenza per assumere una veste istituzionale.
Sembra il messaggio di Mattarella quando, rinunciando al bis, sottolinea il ruolo insostituibile del Parlamento e dei partiti.