IVREA – Era il 12 ottobre 2007 e il titolo di apertura de Il Risveglio Popolare di allora annunciava il “taglio del nastro per la Casa dell’Accoglienza” ad Ivrea, terza realtà di servizio della diocesi. Una storia lunga, che insieme a quella di altre due “case” (quella “dell’Ospitalità” e “della Solidarietà”) e ad altri servizi ha ruotato per tanto tempo attorno alla figura di don Arnaldo Bigio il quale, già nell’occasione dell’inaugurazione del 1992 disse che la “Casa della Solidarietà” nasceva per “essere segno e strumento”. Di che cosa? Di una solidarietà che non è un “mero emotivo intenerimento per la sofferenza, ma la determinazione ferma e costante nel rimuovere le cause che la procurano”, per dirla con il santo Papa Giovanni Paolo II nel ricordo dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891).

Nel 2009 don Arnaldo comparve in uno spot della Chiesa cattolica per la raccolta dei fondi 8xmille – un modo per testimoniare già allora la sostenibilità delle opere con l’aiuto del “dono” – accanto a Biagio, il vero protagonista del breve filmato: un ex carcerato che trova una famiglia e un motivo per non tornare dentro.
Di tutto questo “bene” elargito grazie all’impegno personale, a quello di altri sacerdoti e molti laici che si sono impegnati di persona anche economicamente, ne abbiamo parlato proprio con don Arnaldo che con le sue risposte aiuta non solo a ricordare ma a continuare nell’impegno costante.

Don Arnaldo, da dove nasce il suo sacerdozio così fortemente impegnato nel sociale?
Con imperitura riconoscenza rendo onore alla mia famiglia: alla serena e positiva interpretazione della vita come impegno e responsabilità. Fin da ragazzo mi accompagna l’indicazione precisa e sintetica di mio padre: “Ricorda che chi ha paura di lavorare per gli altri finisce che non lavora neppure a sufficienza per sé stesso”. Naturalmente la frase era espressa in dialetto, che la rende ancora più incisiva. L’accompagnamento coerente di questa fondamentale indicazione incrocia la formazione “salesiana” ricevuta a Valdocco negli anni 1954-59: allievo “artigiano-sezione falegnami”, ho maturato una discreta professionalità ma soprattutto, ho imparato l’organizzazione del tempo. Privilegiato quello dedicato al laboratorio (doppio, rispetto a quello riservato allo studio) continuamente sollecitati da scadenze improrogabili e da maestri autorevoli. L’inconcludenza, il “perder tempo” erano iscritti tra i peccati mortali! Alla formazione succede l’esperienza lavorativa per otto anni di lavoro dipendente. Pur attraversato da una nobile idealità – che si esprimeva nelle rivendicazioni sindacali – l’universo operaio di quel tempo era motivato dalla concretezza e dalla produttività. Contributi tutti concorrenti a definire e spiegare le scelte pragmatiche della mia vita.

Passiamo alle opere: ci racconti della “Casa dell’Ospitalità”.
Rappresenta l’espressione conciliare della Carità – in tutta la sua estensione, come il vangelo comanda – riassuntiva dell’impegno della Diocesi su pressante indicazione del Vescovo Bettazzi. Così la Chiesa di Ivrea ha mostrato, concretamente, di volere e di sapere raccogliere le sfide del tempo in ordine alla “scelta preferenziale dei poveri”. Non ero ancora prete ma ricordo il fervore contagioso dell’iniziativa. L’anticipata apertura per accogliere i primi ospiti e i commenti, non sempre benevoli, che ne hanno accompagnato lo sviluppo. In realtà l’accoglienza indiscriminata degli ospiti e la precaria strutturazione degli incarichi affidati – in partenza esclusivamente a benemeriti volontari – ne ha messo a dura prova la tenuta. Quindici anni dopo, a settembre 1986, l’obbedienza mi destina “direttore”. Coincide, la mia nomina, alla presentazione riassuntiva del Sinodo Diocesano: “Una Chiesa giovane a servizio del mondo”. Sono anni in cui si configura un nuovo “stato sociale” propiziato da una inedita riserva di energie e di competenze offerta da volontari che l’industria incentiva a collocarsi nello spazio del pre-pensionamento. Le istituzioni pubbliche si attrezzano per rispondere alle nuove esigenze e la politica, in affanno, cerca di normalizzare. Si comprende come i problemi specifici – l’accompagnamento dei minori, la tossicodipendenza, l’alcolismo, i malati psichiatrici… – necessitano di risposte puntuali con l’intervento di specialisti. Così la struttura di via Burolo – che già ospita nella propria sede la Cooperativa Sociale “San Michele” – diviene laboratorio generativo del dipartimento di alcologia dell’ASL e della Associazione l’Orizzonte per il trattamento dei tossicodipendenti. Quest’ultima realtà pensata e realizzata per ricordare la storica visita di Papa Giovanni Paolo II ad Ivrea. Doveroso ricordare come la titolarità del bene – coerente la chiesa di San Nicola in piazza Duomo – è ascrivibile a una antica confraternita che aveva come “missione” il soccorso delle vedove e degli orfani dei condannati a morte.

Poi arrivò la “Casa della Solidarietà”
L’inaugurazione nel gennaio 1992, coincide con il 25° di episcopato eporediese di monsignor Bettazzi: una scelta cronologica da intendersi come omaggio, apprezzamento e attualizzazione del suo infaticabile ministero. Dal 4 marzo 1992 ad oggi la struttura ospita giovani che intendono negarsi alle dipendenze dell’alcool, della droga e del gioco d’azzardo, adeguatamente seguiti e accompagnati. Tra le difficoltà che si incontrano in questa attività il futuro reinserimento nella società rappresenta uno “snodo” cruciale. Diffidenza e pregiudizio appesantiscono la ripartenza ma, soprattutto, la scarsità di soluzioni abitative. A questa carenza l’associazione l’Orizzonte, di concerto con la Casa dell’Ospitalità e l’Istituzione Canonico Cuniberti, hanno inteso sopperire con la “Casa dell’Accoglienza”.

Ce ne parli…
Dal 2007 a oggi in questa sede trovano spazio le multiformi attività del Centro Migranti della Diocesi, varie associazioni di volontariato e un posto letto per una trentina di ospiti di svariata provenienza. La formula dell’autogestione – sulla fiducia – consente una sicura economia ma, molto di più, è “promozionale” delle residue personali potenzialità. I risultati mi appaiono confortanti a conferma di una sperimentazione condotta negli anni 1995-2010 in capo all’Associazione “l’Argine”, costituitasi con l’obiettivo di rispondere all’emergenza dell’AIDS e orientare al reinserimento civile i dimessi dalla Casa Circondariale di Ivrea. Esperienza validata dalla commissione preposta alla pubblicità del “Sovvenire” che ci gratifica mandando in onda sulle reti televisive nazionali lo spot pubblicitario del 2009. Così rispondo alla delicata questione del reperimento delle risorse.

Che volti ha la provvidenza che le ha permesso di realizzare queste opere?
La Diocesi di Ivrea vanta una benemerita tradizione di generosità che – nello specifico – si è confermata ampiamente, a mio conforto e a sollievo dei superiori. “La farina della giara non si esaurì e l’olio dell’orcio non venne meno…”, proprio come l’assicurazione del profeta mi garantiva. Sulla simpatia e il concorso di tante persone, si inserisce il contributo dei fondi 8×1000. A partire dal 1986 la Chiesa italiana sperimenta un’autentica rivoluzione con l’introduzione del “Sostentamento Clero” in sostituzione dell’antico sistema del “beneficio ecclesiastico”. L’incarico diocesano di “promotore del Sovvenire” mi ha introdotto nello spirito della riforma voluta dal concordato del 1984. Incarico risultato strategico per la conoscenza della Diocesi e per l’individuazione degli interventi da privilegiare. Se resta vero che sono stati i “bisogni” dei poveri a dettare le priorità, è altrettanto vero che il compimento delle opere è da ascrivere al puntuale, consistente contributo elargitoci dai fondi 8×1000 per le attività caritative.

Che cosa l’ha incoraggiata di più, nel tempo, a portare avanti questi impegni?
La memoria di chi ci ha preceduto, testimoniando nel tempo, con tempestività, generosità e lungimiranza, l’amore per Dio con l’attenzione e il servizio dei fratelli. Ripenso al contributo di tante suore che si sono affiancate ai parroci del tempo per l’assistenza dei piccoli negli asili e/o gli anziani nelle case di riposo. Memoria che resta in benedizione.

Rifarebbe tutto?
Rispondo di sì, ma non vorrei fosse presunzione.