“Ho sempre creduto che nella vita si tratti di amare e servire, il resto viene dopo”. Non è una frase da biscotto della fortuna, ma la voce di una persona che vive di amore e servizio. Lui si chiama Heriberto García Arias, prete messicano, 35 anni. Lo conosco perché studia con me Comunicazione Sociale Istituzionale all’Università della S. Croce a Roma. La sua storia è davvero unica e ve la racconto seppur brevemente.

Innanzitutto padre Heriberto è un prete “felice”, cosa non scontata: parlando insieme a lui si vede subito che è una persona realizzata e contenta di fare quello che fa. Sono sicuro che quando va a dormire sorride. I suoi occhi hanno una luce particolare e contagiosa. È un amico. Studiamo assieme e condividiamo moltissimi momenti conviviali e attività di studio. È anche un grande sportivo: gli piace nuotare e andare in palestra ma soprattutto ama la charrería, uno degli sport più praticati in Messico, lo sport dei cowboys messicani (anche se sono nati prima i charros dei cowboys).

Ho scoperto che sul web non ero l’unico a conoscerlo. Padre Heriberto è un prete influencer ovviamente di lingua spagnola, o come preferisce lui, un “evangelizzatore digitale”. Ma soprattutto sacerdote, e ci tiene a sottolinearlo. Mica pizza e fichi, direbbero alcuni: i suoi numeri sono da capogiro. 26,2 milioni di likes e 1,8 milioni di follower su TikTok, 241mila follower su Instagram, 181mila su Facebook e 69mila su YouTube. Decisamente una media superiore a qualsiasi parrocchia noi possiamo immaginare.

La domanda è: cosa fa un prete sui social? Questo spazio non basta per raccontare neppure una briciola della sua attività, ma soprattutto dei suoi frutti. Balletti leggeri? Uno o due. Vlog? Ne ha fatto uno molto bello dal Santuario di Fatima, ero lì con lui. Allora cosa? Semplice, fa da tramite, è uno strumento. Nulla più. Credetemi, non è sminuente. Sa benissimo che non è lì per gloria personale, me lo ripete sempre. Usa la sua voce per trasmettere la Parola di Dio, quell’amore che, così come ha folgorato lui, vorrebbe folgorasse tutti. Le considerazioni stereotipate di stampo anticlericale cadono sterili come foglie al vento. Se padre Heriberto è lì, tutti i giorni, è perché qualcuno lo ascolta.

I giovani hanno fame di pane di vita eterna. Abbiamo fame; i miei coetanei non sono indifferenti al trascendente. Tutt’altro. Quando vivi in un mondo che ogni giorno ti riempie di ogni bene e capisci che non ti sfami, anzi il buco nello stomaco si allarga sempre più, ti rendi conto che hai bisogno di altro. E lo cerchi dove più vivi, dove quantomeno credi di essere te stesso, dove pensi possano arrivarti le risposte: nel mondo digitale. È una nuova cultura, non un nuovo strumento, il paradigma è cambiato.

Quando sei nel deserto del cuore, nel vortice burrascoso del nulla cosmico, trovare una figura come padre Heriberto ti può salvare. Ha qualcosa da dirti che cambierà la tua vita come l’ha cambiata a lui. O semplicemente ti chiedi: come fa lui a essere felice, dove ha trovato quella felicità e pienezza che io cerco disperatamente e che mai ho raggiunto?

Sono tantissime le persone che quotidianamente gli scrivono; ringraziamenti, richieste di preghiere, vere e proprie grida di aiuto (“Padre, non ha più senso vivere per me”, “Domani abortirò mia figlia” sono solo alcuni esempi che mi racconta ricevere). Per tanti lui è l’ultima spiaggia. Deve intercettarli subito, nelle migliaia di messaggi, e fare qualcosa. Che cosa esattamente fare in parte lo sa e in parte no: si fida di Dio. In tutto, anche nella costante lotta per la testimonianza. Lo racconta bene in un libro dal titolo “Hablando con Heriberto García Arias” in cui dialoga a cuore aperto con Gonzalo Fernández Sanz, direttore delle Publicaciones Claretianas.

“Se Dio mi chiede di correre, di frenare, di saltare, è per un motivo – spiega padre Heriberto con un esempio da charros – perché il cavallo si fida del cavaliere, non lo vede come un predatore. Se il cavaliere gli dice: ‘Avanti, dai, non andrai a sbattere, mi prenderò cura di te, l’animale si fida. I buoni cavalli si fidano sempre. Nel mio rapporto con Dio, è lo stesso per me. Dico al Signore: Sei tu che tieni le redini”.

A chi erroneamente lo pensa interessato alla fama e al successo credo risponderebbe come il beato Carlo Acutis: “Non io ma Dio”. “Le reti sociali sono come un fiume vertiginoso – scrive il padre – tutto arriva veloce e così se ne va. Perciò, è necessario portare Cristo, la roccia che rimane”.

Padre Heriberto sa bene però che quel torrente della “Rete” deve essere navigato, è imperativo per la Chiesa e finalmente lo si inizia a capire, purché il fine sia sempre Cristo. E i giovani in ricerca di Verità sui social potranno finalmente dissetarsi.