Tenuta Roletto
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venerdì 25 Aprile 2025

Reale mutua
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Gli anniversari di Ordinazione Presbiterale

IVREA - Santa Messa del Crisma - Il Vescovo Mons. Daniele Salera rinnova l'invito a vivere in pienezza il dono del sacerdozio, nella celebrazione “della cura che Dio ha per noi” 

Affidandosi a Maria e affidando la Diocesi a Lei, Vergine Assunta in Cielo, Mons. Salera ha pregato e ha chiesto di pregare per il dono di vocazioni al sacerdozio

(Testo di Elisa Moro – Immagini di Giancarlo Guidetti) – Un invito a vivere in pienezza il...

Dal 15 al 23 marzo, la testimonianza di una comunità viva e vitale

ROSONE - Giorni intensi di festa in onore di San Giuseppe - Apice dei festeggiamenti, il 19 marzo, la celebrazione della Santa Messa solenne presieduta dal  Vescovo Mons. Daniele Salera, alla sua prima visita in Valle Orco - GALLERY DI 100 IMMAGINI

Il vescovo Daniele, dopo la fiaccolata, ha ancora voluto intorno a sé i tutti papà presenti nella chiesa per una preghiera comune e invitarli a seguire l’esempio di San Giuseppe.

La piccola frazione di Rosone nel Comune di Locana si è vestita a festa dal 15 al 23 marzo per...

Ancora un'esemplare esperienza educativa e pastorale per i giovani delle parrocchie di Rivarolo -

RIVAROLO CANAVESE - Quella Croce così attuale nella vita di tanti come noi - Due esempi luminosi, Sammy Basso e Nadia Toffa, che hanno portato la Croce con umiltà, semplicità e grinta, senza arrendersi di fronte al “buio” della vita.

Ai piedi della Croce sta Maria, in attesa di quella luce che dona salvezza, pace e armonia a tutti noi nel giorno della Santa Pasqua.

(simone mezzano) – Un Venerdì Santo intenso quello vissuto ieri, 18 aprile, dagli animatori...

Celebrazione preparata con ogni cura: non è mancata anche la presenza di un'asinella

CUCEGLIO - Il Card. Arrigo Miglio presiede la Liturgia nella Domenica delle palme - Molto seguito il suo messaggio conclusivo, che riproponiamo integrale in VIDEO - 

Oltre la pur importante e bella "cornice", contempliamo il "quadro" che essa contiene

(f.c.) – Il cardinale Arrigo Miglio ha presieduto la Liturgia della Domenica delle Palme a Cuceglio, celebrata sabato pomeriggio alle 18 con ritrovo in Piazza Porta Pia. Presente anche l’asinella Agata che ha...

In apertura un video sulla vita del Beato Carlo Acutis

CHIVASSO, TORRAZZA, BORGOREGIO E TORASSI - Tanti giovani per animare la Via Crucis - Mentre fervono i preparativi per il Pellegrinaggio giubilare del 25 aprile - Molto partecipata l'azione liturgica nelle Parrocchie guidate da Don Gianpiero Valerio -

I ragazzi del Giubileo hanno proseguito l'incontro con canti giochi  fino alle Lodi mattutine del Sabato 12 aprile, insieme alla preziosa presenza della catechiste -

I giovani della parrocchie guidate da don Giampiero Valerio: pellegrini di Speranza. E’ così che,...

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VILLAREGGIA, MAZZE’, TONENGO – Una Settimana Santa vissuta nella pienezza della Fede

(Testo di Renato Scotti – Immagini di Gabriele Bisco, Mirella Nigra, Martina Acotto, Stefano Gianuzzi, Sandro Frola, don Alberto e Annalisa Matta) – La Settimana Santa presso le Parrocchie di Mazzè, Tonengo e Villareggia, in conclusione della Quaresima, è stato vissuto come un tempo privilegiato, sacro e solenne, durante il quale ogni cristiano è chiamato a rivivere e meditare con maggiore intensità gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù Cristo; meditazione a cui la Chiesa invita in modo particolare già durante i venerdì di Quaresima, durante la Via Crucis, con la ripetizione fra una stazione e l’altra dell’antifona “Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi, / quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum”: “Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo, / perché con la tua santa croce hai redento il mondo”.
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787) affermava che la Passione di Gesù Cristo deve essere l’oggetto ordinario delle meditazioni di ciascuno.
Durante una predicazione ai suoi congregati, in occasione degli annuali esercizi spirituali, affermò che «tutte le meditazioni sono buone; ma quelle della Passione di Gesù Cristo è la più utile. Qui non dobbiamo fermarci alla scorza; ma penetrare nell’umiltà, nella mortificazione, nelle pene del Redentore (…) Io per me miserabile vi confesso che non lascio mai di farla; né so altro meditare, perché là ci trovo tutto»: quel “tutto” fa crescere in noi l’amore per il Salvatore e il desiderio di imitarlo, perché, aggiungeva il Santo, «chi tiene avanti Gesù Crocifisso non può fare a meno di amarlo» (cfr. Celestino Berruti, Lo Spirito di sant’Alfonso, Napoli 1857, p. 161)
Con questo spirito è stata vissuta la Settimana Santa nelle comunità affidate a don Alberto Carlevato, a cominciare dalla liturgia della Domenica delle Palme (celebrata, a Villareggia, da don Luca Pastore, che svolge il suo ministero fra Quincinetto, Quassolo, Tavagnasco, Carema e l’ospedale civile di Ivrea), passando per il Triduo pasquale e giungere infine alla Domenica della Pasqua di Resurrezione.
Il canto liturgico è stato degnamente sostenuto, in ogni parrocchia, dalle rispettive corali, riunite invece per la celebrazione della Veglia pasquale.
Alla Santa Messa del Giovedì Santo – giorno in cui si fa memoria dell’Ultima Cena, durante la quale Gesù istituì i sacramenti dell’Eucaristia e del Sacerdozio – è seguita l’adorazione Eucaristica dinanzi all’Altare della Reposizione allestito nelle chiese parrocchiali delle tre comunità.
Il Venerdì Santo – giorno della crocifissione e morte di Gesù, unico giorno dell’anno in cui non viene celebrata alcuna Santa Messa – dopo la Liturgia della Passione si è svolta a Tonengo la sacra rappresentazione “Le strade della Croce”, antica tradizione che mette in scena i momenti ultimi della vita terrena di Gesù, la Sua passione e morte, a cominciare dall’Ultima Cena, in chiesa parrocchiale, fino alla deposizione nel sepolcro presso il cimitero, al quale si giunge in processione.
La solenne Veglia pasquale del Sabato Santo – giorno di silenzio e di attesa – è stata celebrata a Mazzè da mons. Lorenzo Piretto, Arcivescovo emerito di Smirne, con le comunità riunite presso la chiesa parrocchiale.
Come di consueto, la Veglia si è iniziata sul sagrato della chiesa, con la benedizione del fuoco nuovo, la preparazione e l’accensione del cero pasquale, entrambi simboli di Gesù risorto che vince le tenebre della morte e del male.
L’Inno del giubileo 2025 – il cui incipit è “Fiamma viva della mia speranza” – è stato cantato dalle corali parrocchiali prima dell’ingresso in chiesa e della celebrazione della Santa Messa vigilare.
La domenica di Pasqua, la Santa Messa a Villareggia è stata celebrata “a sorpresa” da mons. Roberto Lucchini, originario di Pont Canavese e attualmente Consigliere di 1° classe della Nunziatura Apostolica presso la Repubblica del Congo (ma già in procinto di proseguire il proprio incarico diplomatico altrove, verso il continente indiano).
Nell’omelia, mons. Lucchini ha osservato che quest’anno la Quaresima – in particolare la Settimana Santa – e la Pasqua sono state vissute e celebrate nella particolare cornice del Giubileo ordinario il cui motto è “Pellegrini di speranza”.
E ha collegato questa speranza a quella che animò Pietro e gli altri discepoli al ritorno di Maria di Magdala e delle altre donne dal sepolcro vuoto.
«Pietro e gli altri, pur essendo delusi e sconfitti umanamente» – perché non avevano ancora compreso il Mistero della Salvezza attraverso la Passione, Morte e Resurrezione di Cristo, e si aspettavano da Gesù una “liberazione sociale” più che spirituale – «nel cuore conservano una luce di speranza, ed è per quello che reagiscono immediatamente all’annuncio delle donne».
Dapprima temono che qualcuno abbia portato via il corpo del Signore, ma poi «correndo verso il sepolcro ecco che si fanno pellegrini di speranza».
Giovanni, che per tradizione è colui che accompagna Pietro in questa corsa al sepolcro, vede le bende in terra, ma non entra, lascia che sia Pietro, il primo degli apostoli, ad entrare per primo nella tomba vuota. Poi, entrambi, «videro e credettero. In quel momento la speranza non soltanto si è rianimata, ma ha avuto la luce della fede».
«Queste parole sono rivolte anche a noi oggi, perché è difficile anche per noi essere pellegrini di speranza», vivere oggi la speranza in un mondo martoriato dalle guerre e dalle ingiustizie.
Tuttavia, ha esortato mons. Lucchini, dobbiamo ricordare l’ammonimento di san Paolo e «convertire le nostre logiche umane in logiche più alte:
“Pensate alle cose di lassù” (Col 3,2)»: non è un invito a non occuparci delle cose di questo mondo, ma ad affrontarle, invece, ragionando con la logica di Dio e non con quella degli uomini, perché in tal modo «la speranza diventa possibile e anche noi, nel nostro piccolo, possiamo diventare artigiani di speranza».
Il saluto finale di mons. Lucchini è stato per i Coscritti 2007, che in questo 2025 festeggiano i 18 anni e i cui foulard sono stati benedetti sul finire della celebrazione eucaristica: «conservate sempre la speranza. Non la speranza superficiale, ma la Speranza che ci viene dal Signore Gesù, Lui che si è fatto carico anche delle nostre croci, delle nostre debolezze, delle nostre fragilità» – in sostanza, dei nostri peccati, per redimerci dai quali Gesù è stato “come agnello condotto al macello” (Is 53, 7) – «e ci ha salvato con il suo amore».
***
In conclusione di questo breve resoconto sembra opportuno ricordare anche le parole che papa Giovanni Paolo II pronunciò durante l’udienza generale del 21 maggio 1997 a proposito delle persone alle quali per prime apparve il Risorto. Di seguito un ampio estratto di quanto disse il santo pontefice:
«La Vergine, presente nella prima comunità dei discepoli (cfr. At 1, 14), come potrebbe essere stata esclusa dal numero di coloro che hanno incontrato il suo divin Figlio risuscitato dai morti?
È anzi legittimo pensare che verosimilmente la Madre sia stata la prima persona a cui Gesù risorto è apparso.
L’assenza di Maria dal gruppo delle donne che all’alba si reca al sepolcro (cfr. Mc 16, 1; Mt 28, 1), non potrebbe forse costituire un indizio del fatto che Ella aveva già incontrato Gesù? Questa deduzione troverebbe conferma anche nel dato che le prime testimoni della resurrezione, per volere di Gesù, sono state le donne, le quali erano rimaste fedeli ai piedi della Croce, e quindi più salde nella fede.
Ad una di loro, Maria Maddalena, infatti, il Risorto affida il messaggio da trasmettere agli Apostoli (cfr. Gv 20, 17-18).
Anche questo elemento consente forse di pensare a Gesù che si mostra prima a sua Madre, Colei che è rimasta la più fedele e nella prova ha conservato integra la fede.
Infine, il carattere unico e speciale della presenza della Vergine sul Calvario e la sua perfetta unione con il Figlio nella sofferenza della Croce, sembrano postulare una sua particolarissima partecipazione al mistero della risurrezione.
Essendo immagine e modello della Chiesa, che attende il Risorto e che nel gruppo dei discepoli lo incontra durante le apparizioni pasquali, sembra ragionevole pensare che Maria abbia avuto un contatto personale col Figlio risorto, per godere anche lei della pienezza della gioia pasquale.
Presente sul Calvario durante il Venerdì Santo (cfr. Gv 19, 25) e nel Cenacolo a Pentecoste (cfr. At 1, 14), la Vergine Santissima è probabilmente stata testimone privilegiata anche della risurrezione di Cristo, completando in tal modo la sua partecipazione a tutti i momenti essenziali del Mistero pasquale.
Accogliendo Gesù risorto, Maria è inoltre segno ed anticipazione dell’umanità, che spera nel raggiungimento della sua piena realizzazione mediante la risurrezione dai morti.
Nel tempo pasquale la comunità cristiana, rivolgendosi alla Madre del Signore, la invita a gioire: “Regina Coeli, laetare. Alleluja!”, “Regina del cielo, rallegrati. Alleluja!”.
Ricorda così la gioia di Maria per la risurrezione di Gesù, prolungando nel tempo il “rallegrati” rivoltole dall’Angelo nell’annunciazione, perché divenisse “causa di gioia” per l’intera umanità.»
Regina Caeli, laetare, alleluia! / Quia quem meruisti portare, alleluia! / Resurrexit sicut dixit, alleluia! / Ora pro nobis Deum, alleluia!
(Rallegrati, Regina del cielo, alleluia! / Poiché Colui che hai meritato di portare in grembo, alleluia! / È risorto come aveva predetto, alleluia! / Prega per noi il Signore, alleluia!) –
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Il suo sorriso e la sua forza, oltre ogni fatica (di Lorenzo Iorfino)

Come giornalista e fotografo, ho avuto tante occasioni di trovarmi vicino a Papa Francesco, in contesti ufficiali, solenni, vivi. Celebrazioni a San Pietro, a San Paolo fuori le Mura, a Santa Maria Maggiore. Proprio lì, il 5 agosto scorso, nel giorno della Dedicazione della Basilica e nella ricorrenza della famosa “nevicata”, al termine dei vespri il Papa volle passare tra noi giornalisti. Nessuno lo aveva previsto. I fotografi avevano tutti i super teleobiettivi montati, troppo lunghi per quello che stava accadendo: un gesto semplice e inatteso. Ci guardò, ci sorrise, e ci ringraziò per il nostro lavoro. Nessuno riuscì a scattare una foto decente. Ma quell’incontro resta più vero di qualsiasi immagine.
Alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona, lavoravo con il comitato organizzatore nella comunicazione. Anche lì venne vicino, passò fra i giornalisti, provato nel corpo ma fortissimo nel cuore. Per i giovani si è fatto giovane. Ha trovato parole nuove e gesti capaci di arrivare in profondità. Quel suo “Todos, todos, todos”, gridato a pugno chiuso, resta come un’eredità: una Chiesa dove davvero c’è posto per tutti, nessuno escluso.
Ma i ricordi a cui tengo di più sono quelli personali. Ho avuto la grazia di parlargli alcune volte. La prima nel 2021, quando con una piccola delegazione andammo a ringraziarlo per la nomina del delegato pontificio per l’incoronazione della Madonna di Oropa. Il cardinale Re ci accolse con calore, e il Papa ci ricevette con un sorriso limpido e una battuta affettuosa di Nino Costa sui biellesi. Una battuta che riemerse anche nell’ultima occasione in cui lo rividi. Nonostante la fatica e la stanchezza che ormai era visibile, conservava la voglia di scherzare, di far sentire accolti. E soprattutto non smetteva mai di stringere mani, di incontrare sguardi, di benedire e farsi vicino.
Nei giorni del suo ricovero al policlinico Gemelli, Roma sembrava sospesa; in Via della Conciliazione non c’era anima viva tranne i soliti giornalisti frenetici. L’aria era carica di silenzio, di apprensione, di preghiera. In questi giorni la Città Eterna si è fermata. E con lei, il mondo intero. Ma anche in questo momento, Papa Francesco ci lascia un’ultima parola, forse la più grande: il messaggio della Pasqua. Il messaggio della vita che vince la morte, dell’amore che non finisce. Con le ultime forze non ha risparmiato di visitare i carcerati il Giovedì Santo e di benedire Urbi et Orbi il mondo intero. Grazie Papa Francesco.

Testimonianza del diacono Alessandro Masseroni davanti alla salma di Papa Francesco

Silenzio. Nemmeno il rumore del calpistio di un’interminabile coda. Con un gruppo di amici iniziamo la fila da Piazza Risorgimento… Alle 6.30. Siamo fortunati… Neanche qualche minuto e si perde a vista d’occhio in direzione dei Musei Vaticani. La Basilica è irriconoscibile… I turisti sembrano scomparsi: regna il silenzio. Un silenzio orante, pieno di commozione. Sembra ci sia quasi il timore di svegliare il Papa. Percorrendo la navata centrale di San Pietro il cuore sale in gola: tutto sembra un grande ossimoro… Gli ori della Cattedra e del baldacchino sfolgoranti dei nuovi restauri, l’altare addobbato a festa, le candele accese, il cero pasquale che svetta. Cosa si festeggia? È veramente Pasqua? Passo dopo passo, passando tra le colossali statue dei santi, la fede pare rinvigorirsi un poco. E poi il rapido incontro con quel volto: pallido, ma pacifico… sorridente. Il Papa si è addormentato, e quel volto stanco a cui eravamo abituati non c’è più. Questa è la Pasqua di Francesco, dal dolore della croce alla pace del Sabato Santo… In attesa di quel grido domenicale che sveglia il mondo: “Cristo è Risorto! E noi con lui!“

Fruttuaria in Canavese: Feletto, Cortereggio, San Giorgio, Lusiniacum e Macuniacum (di Francesco Mosetto)

In un precedente articolo (“Il Risveglio popolare”, 2 febbraio) abbiamo esplorato le dipendenze di Fruttuaria lungo il Malone, a Busano e presso il guado di Rivarotta. Proseguendo, rileviamo la sua presenza a Feletto e, al di là dell’Orco, nel territorio di San Giorgio e a Montanaro. La prima menzione di Feletto in relazione all’abbazia di San Benigno, è del 1066: il conte Ardicino del fu conte Arduino rinuncia a favore di Fruttuaria ai diritti gravanti sui beni del monastero nelle terre di Obiano, Feletto, Vigilulfo e Lessolo, più le decime di Lombardore. Il patrimonio abbaziale in Feletto crebbe in seguito grazie a diverse donazioni e acquisizioni, documentate nell’Archivio di Stato di Torino soprattutto per il sec. XIII. Per es., “Nel 1261 Oberto II abate di Fruttuaria acquistò da Nuplax, vedova di Oberto di Feletto e tutrice dei loro figli, una dozzina di giornate di terra distribuite nel territorio di Feletto” (A. Sanna, Tra Canavese ed Europa, p. 172).
Di particolare interesse sono altri due documenti: il primo è l’atto con il quale l’11 marzo 1258 il medesimo abate Oberto in domo Sancti Petri de Feleyto concesse in enfiteusi un sedime, una vigna e una terra nel territorio di Feletto (ivi, p. 184, nota). Occorre pensare che presso l’antica chiesa di San Pietro, oggi chiesa cimiteriale, fosse una cella dei monaci di Fruttuaria. A sua volta, il Privilegio di Clemente IV (1265) attesta che il prevosto dell’ecclesia sancte Marie de Felletto in episcopatu Ipporegiense è nominato dall’abate di San Benigno.
Di fatto, la chiesa parrocchiale di Feletto è tra le 15 chiese che nel Liber decimarum della diocesi di Ivrea (1368) figurano come dipendenti dall’abate di Fruttuaria. La costruzione della nuova chiesa, intitolata a S. Maria Assunta e S. Pietro, iniziò nel 1693 e si concluse nel 1706. L’8 ottobre 1750 venne consacrata dal cardinale Vittorio Amedeo Ignazio delle Lanze. A nord della frazione Mastri, poco distante da Feletto, si trova il rudere di un antico romitorio e di una ancor più antica chiesa intitolata a Sant’Eusebio. Essa sorgeva lungo la via che dall’alto Canavese conduceva a Torino “ad locum qui dicitur insula”.
Il rudere è conosciuto come l’“Armit”, poiché si tramanda che lì vivesse un eremita che offriva ospitalità ai viandanti. La chiesetta, di modeste dimensioni, era ad aula unica con abside semicircolare volta a oriente. Nel 1176 il vescovo Gaimaro d’Ivrea cedette S. Eusebio, insieme alle sue pertinenze e ai suoi possedimenti, alla chiesa di S. Egidio di Verrès e dei Ss. Nicola e Bernardo di Columna Iovis (il Gran San Bernardo) con l’impegno di provvedere ai bisogni dei viaggiatori indigenti.
Nel 1278 la chiesetta entrò stabilmente nei possedimenti del monastero di S. Benigno, che già vantava diritti signorili su tutto il territorio (cfr. S. Silva, La chiesa di S. Eusebio a Feletto Canavese: note preliminari ad uno studio sistematico, in “Bollettino dell’Associazione di Storia e Arte Canavesana”; riassunto nel sito “I cavalieri di Sant’Eusebio”).
La donazione di Ottone Guglielmo comprende la Curtis regia, che potrebbe corrispondere all’attuale Cortereggio. Ma caput curtis, il centro cioè della “corte”, era la villa di San Giorgio. Difatti, nel diploma di re Arduino (1003) si nomina la “corte dell’Orco, da molti chiamata corte regia, ma ora chiamata castello di San Giorgio dagli abitanti del luogo” (cfr. A. Sanna, Tra Canavese ed Europa, pp. 101-102 e n. 357, con rimando a A.A. Settia). Il Privilegio di Clemente IV (1265) conferma che sia l’ecclesia de villa Sancti Georgi sia quella Sancte Marie de Curterizo dipendono dall’abbazia di San Benigno, probabilmente come prevosture. Dell’antica chiesa di San Giorgio, completamente riedificata tra la fine del ‘400 e i primi decenni del ‘500, si conserva il bel campanile romanico “costruito verso la metà del XII secolo senza dubbio dai monaci di Fruttuaria, da cui dipesero sin dai primi tempi dell’abbazia la chiesa e la cura delle anime del borgo di san Giorgio” (G. Forneris, Romanico in terre di Arduino, p. 408). Piero Venesia avverte però che “l’appartenenza della chiesa alla diocesi di Ivrea oppure all’abbazia di Fruttuaria continua ad essere argomento di discussione” (Il Medioevo in Canavese, p. 244). La nuova chiesa parrocchiale fu consacrata nel 1755 dal cardinale Delle Lanze. L’anno stesso (o nel 1775?) il cardinale abate di San Benigno consacrò anche la parrocchiale di S. Giusto. Nell’affresco del palazzo vescovile la chiesa di San Giorgio è sì raffigurata, ma senza l’indicazione della località, appunto perché dipendeva dall’abbazia di San Benigno. La parrocchia di San Giorgio passò definitivamente alla diocesi nel 1805.
Tra i possedimenti che nel 1019 Ottone Guglielmo di Borgogna donò all’abbazia di Fruttuaria è Lusiniacum (Lusigliè). Dal Privilegium Othonis (962), con il quale Ottone I si impegnava tra l’altro a riconoscere tutte le donazioni elargite da Pipino il Breve alla chiesa di Roma, apprendiamo che “San Colombano di Bobbio possedeva beni in finibus Eporediensibus”. La notizia – scrive Aldo A. Settia – potrebbe essere collegata all’esistenza in Lusigliè di una chiesa dedicata a San Colombano divenuta più tardi dipendenza dell’abbazia di Fruttuaria (L’Alto medioevo, in Storia della Chiesa di Ivrea, vol. I, p. 95).
Altra località nominata nel documento del 1019 è Macuniacum, Macugnano, il toponimo più antico del territorio di Agliè. In questa zona, dove già esisteva la chiesa di San Massimo (vescovo di Riez in Francia), oggi praticamente scomparsa, un prete di nome Leone avrebbe costruito una chiesa intitolata a Santa Maria e sarebbe poi entrato nel monastero di San Benigno.
Altri due monaci fruttuariensi l’avrebbero in seguito restaurata. È quanto si legge in un documento del 1115, riportato nel Libro Rosso della città di Ivrea. Nel capitolo generale tenuto a San Benigno nel 1203 era presente il priore Sancte Marie de Macuniano.
Nel 1256 papa Clemente IV confermò all’abate la stessa chiesa. Nel Liber decimarum (1368) essa figura tra le chiese appartenenti all’abbazia. Ma “la controversia circa la sua appartenenza alla diocesi di Ivrea oppure alla Fruttuaria durò a lungo tra vescovo e abate” (P. Venesia, Il Medioevo in Canavese, p. 137). Questo priorato, che si trovava lungo una strada importante del Canavese, sarebbe stato anche ospizio (cfr. N. Cuniberti, San Benedetto e i suoi monasteri in Piemonte, p. 204). I monaci l’abbandonarono a causa della peste del 1600. Alla fine del sec. XVIII, la chiesetta di Macugnano subì una radicale ristrutturazione. Oltre al campanile romanico, oggi conserva l’impianto circolare che ricorda gli antichi battisteri, da cui il nome “la Rotonda”. Esso pare ispirato all’edicola del Santo Sepolcro di San Benigno di Digione, imitata nell’abbaziale di Fruttuaria. “Solo la lanterna della primitiva Rotonda è rimasta a testimone evidente dell’originaria costruzione, la cui visione allo stato attuale farebbe propendere a una datazione intorno alla metà dell’XI secolo” (G. Forneris, Romanico in terre d’Arduino, p. 141).
Nel 1039 il chierico Amizzo donò a Fruttuaria le sue proprietà in Montanarium. La chiesa del Priorato di Montanaro, Santa Maria d’Isola, fungeva anche da pieve con sede battesimale. A partire dal 1300 l’intero borgo, in precedenza feudo dei marchesi del Monferrato, risulta sottoposto alla giurisdizione spirituale e amministrativa degli abati. La nuova chiesa parrocchiale, dedicata all’Assunta e a San Nicolao, fu consacrata dal Cardinale delle Lanze il 19 maggio 1765.
Dell’antica chiesa di Santa Maria d’Isola – che nel 1600 venne ingrandita e riorientata – rimane il campanile romanico, che “presenta una interessante rassomiglianza con quello d’intonazione fruttuariense di San Genesio presso Castagneto Po” (G. Forneris, Romanico in terre di Arduino, p. 347). Soppresso il monastero di San Benigno (1477), l’abbazia “conservò il dominio spirituale e temporale su San Benigno, Feletto, Lombardore e Montanaro, che si chiamarono “terre papaline”; e quello spirituale su San Giorgio, Busano, Front, Brandizzo, Vauda, Rivarossa, San Giusto, Villanova Solaro e Faule. Sotto la giurisdizione temporale degli abati le popolazioni si trovavano bene; per cui, quando nel 1710 avrebbero dovuto passare sotto quella del Duca di Savoia, levarono minacciose proteste e si dichiararono pronte alla ribellione. I ministri ducali, allora, per costringerli usarono violenze e confische, bandi ed editti rigorosissimi…” (N. Cuniberti, San Benedetto e i suoi monasteri in Piemonte, p. 194).
Nel 1527 Clemente VII concesse all’abate commendatario di Fruttuaria, card. Bonifiacio Ferrero, il privilegio di battere moneta. La zecca dell’abbazia, che si trovava a Montanaro, andò distrutta da un incendio nel 1641. San Benigno di Fruttuaria “controllava nello spirituale tutti i territori alla sinistra del torrente Malone, da Vauda sino a Volpiano, e quelli sulle due rive dell’Orco, da Feletto e San Giusto sino a Montanaro… tanto da sembrare una diocesi nella diocesi” (G. Andenna, La cura delle anime nel XIV secolo, in Storia della Chiesa di Ivrea, vol. I, p. 408).
Santa Maria della Rotonda, Aglié.Sant’Eusebio, Mastri di Feletto.

RIVAROLO CANAVESE – La comunità riunita nel ricordo di Papa Francesco

Martedì 22 aprile in Rivarolo Canavese la veglia di preghiera per il defunto Pontefice Papa Francesco ha visto riunita tanta gente, anche tanti giovani, presso la Parrocchia di San Giacomo.
Non sono mancati i rappresentanti delle Istituzioni come il Sindaco Martino Zucco Chinà ed il Vice Sindaco Signora Marina Vittone, a sottolineare come i sentimenti di cordoglio per la scomparsa del Vicario di Cristo, di condivisione dei suoi insegnamenti, siano unitivi per tutta la comunità, civile ed ecclesiale.
La veglia, presieduta dal Vice Parroco, Don Antonio Luca Parisi, che l’ha guidata con l’assistenza dei Diaconi Simone Mezzano e Livio Bellino, ha seguito l’indirizzo diramato dalla Cei per le liturgie commemorative del defunto Pontefice
Nella luce della Pasqua: in preghiera per Papa Francesco (Veglia – documento PDF)
Nella luce della Pasqua: in preghiera per Papa Francesco (Santo Rosario – documento PDF) .
Ha animato la Liturgia la Cantoria parrocchiale diretta dalla Signora Elena Geranio.
Molti sono stati i fedeli che si sono accostati all’Eucarestia.
Di grande intensità il momento in cui il Diacono Simone Mezzano ha proposto una meditazione davvero persuasiva sulla figura di Papa Francesco.
Ci piace offrire di seguito, integrale, il pensiero del Diacono Simone:
“Fratelli e Sorelle, buonasera!”
Queste parole sono risuonate in Piazza San Pietro il 13 marzo 2013. La Santa Romana Chiesa aveva il suo nuovo Pastore.
Con semplicità, Jorge Mario Bergoglio si è affacciato dalla Loggia centrale della Basilica e ha pronunciato quella frase che è diventata iconica:
“I fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo!”. Bergoglio con umiltà scelse di diventare Francesco.
Una decisione che ha sottolineato il legame con San Francesco d’Assisi, il Santo dell’umiltà che ha avuto coraggio di fare una scelta importante: spogliarsi di tutto e dire di sì totalmente a Dio. Francesco da quel momento è entrato nel cuore e nelle case di tutti. Il suo pontificato nel corso del tempo è stato segnato da gesti forti. Si è recato nei luoghi della sofferenza, come Lampedusa, dove nel 2013 ha sottolineato l’indifferenza globale verso i migranti.
Si è impegnato per avere la pace mondiale come rimarcato dal viaggio in Sud Sudan nel 2023, riuscendo a trasmettere e a portare un messaggio di riconciliazione. Poi nel 2019, durante un ritiro spirituale in Vaticano con i leader sud-sudanesi, si era inginocchiato e aveva baciato i loro piedi, implorandoli per il termine della guerriglia. E in questi ultimi anni ha chiesto più volte la parola “fine” per i conflitti che attanagliano l’Ucraina e molti altri posti. Ha dedicato tanta attenzione alla giustizia sociale e all’ambiente. Nell’Enciclica “Laudato sì” del 2015 ha denunciato lo sfruttamento del pianeta, chiedendo una “cambiamento ecologico” globale. Nel 2020 con l’Enciclica” Fratelli tutti” ha riportato all’attenzione l’idea di una fratellanza universale.
Francesco nel corso del suo ministero petrino, è riuscito, nonostante le difficoltà del mondo, a portare il sorriso nei volti delle persone, soprattutto degli anziani, dei più fragili e degli esclusi. Quel sorriso è venuto a vacillare proprio in un momento “buio” della quotidianità. Durante la pandemia di Covid-19, non ha perso le speranze e ha offerto a tutti noi uno dei momenti più intensi della sua missione: il 27 marzo 2020, ha affrontato da solo una piazza San Pietro vuota e sotto la pioggia e il “grido” delle sirene delle ambulanze, ha guidato una preghiera straordinaria. Un’immagine che ha segnato la storia universale.
Papa Francesco, in più occasioni, ha voluto lasciare molti insegnamenti di vita ai ragazzi e in merito al rapporto con la società, soprattutto nell’ambito scolastico. In una udienza, aveva riportato il rischio della rottura del patto educativo tra famiglie e scuola. L’atteggiamento nei confronti degli insegnanti è cambiato rispetto al passato, non sempre c’è collaborazione sana tra genitori e scuola per l’educazione dei giovani. Ha voluto ricordare che la scuola è il luogo dove si impara ad aprire la mente e il cuore al mondo. Educare significa accompagnare gli studenti nella crescita umana e spirituale, aiutandoli a “pensare bene, sentire bene e fare bene”. È stato un Papa vicino ai giovani e ripeteva:
“Per favore, non perdete la capacità di sognare: quando un giovane perde questa capacità, non dico che diventa vecchio, no, perché i vecchi sognano. Diventa un ‘pensionato della vita’. È molto brutto. Per favore, giovani, non siate ‘pensionati della vita’, e non lasciatevi rubare la speranza! Mai! La speranza non delude mai!”.
E proprio dalla gioventù ha pescato la sua forza per combattere contro le difficoltà dovute al peggioramento delle sue condizioni di salute. In questi giorni, tutto il mondo si è riunito per sostenerlo e le sue apparizioni pubbliche ravvicinate hanno fatto sperare e poi, inaspettatamente… se n’è andato in punta di piedi, in silenzio. Un po’ il suo stile. Ha accettato il suo incarico in punta di piedi e silenziosamente ha raggiunto la casa del Padre in un giorno speciale. Francesco ha intrapreso la via del Paradiso nel Lunedì dell’Angelo e questo fa riflettere: tutto avviene secondo un progetto ben studiato da Dio, a volte a noi non comprensibile. Proprio da giovane posso riportare il mio affetto per il Santo Padre e in questi giorni la mente va a un’esperienza che ho potuto vivere da vicino. Ricordo ancora lo sguardo penetrante nell’attimo in cui, in una piazza San Pietro gremita, si è fermato per benedire la mia maglia da animatore e che ho donato subito come segno di affetto agli animatori di San Giusto. Ho ritenuto opportuno che quella benedizione potesse continuare a proteggere i sorrisi delle persone che varcheranno l’oratorio. È stata un’emozione unica che conserverò per sempre con me e preziosamente in una foto, come la sua Benedizione Apostolica ricevuta in occasione della mia ordinazione diaconale. Questa sera siamo raccolti in preghiera per ricordarlo e per ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per Dio e per l’umanità. Ora, caro Papa Francesco come  hai sempre ricordato:
“Pregate per me”, lo chiediamo a te che sei più vicino a Gesù di pregare per tutte le nostre famiglie e per la nostra comunità di Rivarolo. Vegliaci da lassù! Continueremo a far germogliare quel seme gettato con il tuo esempio, il tuo carisma e la forza di volontà che ti hanno contraddistinto. Come Maria, siamo ai piedi della Croce, in attesa della Resurrezione e di poter gioire nel giorno dell’incontro con Dio.
 Buon viaggio Papa Francesco. Non è un addio, ma un arrivederci in Cristo! Sia lodato Gesù Cristo!”
Per tutta la Diocesi l’appuntamento è questa sera in Cattedrale ad Ivrea per la S.Messa di suffragio presieduta dal Vescovo Mons. Daniele Salera.
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