(Graziella Cortese)
In attesa di tempi migliori, possiamo auspicare la riapertura delle sale cinematografiche e prepararci alla visione di un film già presentato l’anno scorso al festival di Cannes (dove ha vinto la Palma d’oro) e che ha trionfato alla premiazione degli Oscar 2020 con quattro statuette: un curriculum di tutto rispetto.
Bong Joon-ho è un maestro che sa rielaborare l’arte delle riprese con ingegno e un’originale lettura della narrazione, a volte imprevedibile. La città di Seul vive i contrasti dell’epoca moderna: la famiglia Kim è povera e abita i sobborghi urbani, all’interno di un’abitazione sudicia, posta letteralmente sotto terra.
I componenti, genitori e due figli, vivono di lavoretti precari e grazie al sussidio di disoccupazione. Finchè un giorno Ki-woo, il figlio maggiore, incontra uno studente suo amico: quest’ultimo gli regala un oggetto misterioso, l’antica pietra della collezione del nonno, e gli dà alcuni consigli sul futuro; secondo il giovane, Ki-woo ha le capacità per diventare qualcuno che conta, cominciando ad esempio a dare ripetizioni di inglese alla ricca figlia adolescente di una famiglia altolocata: i Park.
Il ragazzo si finge studente universitario e riesce a farsi assumere dalla ingenua signora Park, conosce un mondo totalmente nuovo e con espedienti truffaldini finisce per collocare nella villa anche la sorella minore e i genitori; in questo modo tutti i componenti dei Kim diventano veri e propri parassiti degli ignari proprietari… e si rivelano estremamente pericolosi.
Il regista colloca anche “fisicamente” le diverse classi sociali, la casa dei Park è posizionata in alto, con un giardino che pare un eden immaginario, e diventa essa stessa co-protagonista del film.
La pietra misteriosa ha la funzione del MacGuffin di Hitchcock, cioè un espediente narrativo intorno a cui ruota l’azione, ma che non ha un vero significato nella storia.
Per il resto le due ore abbondanti della sceneggiatura trascorrono veloci, inconsuete e sorprendenti.