Mercoledì delle ceneri
“Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti” (prima lettura).
Un imperativo accompagna l’inizio della Quaresima. La voce del profeta è una esortazione: Dio attende il “ritorno”, Dio “aspetta”. Il verbo ebraico che esprime questo imperativo è molto interessante, perché ha un duplice significato: viene usato sia per indicare l’espressione “girare intorno”, sia per indicare una “inversione” nel senso di marcia.
Un “cambio” di sguardo e di “vista”, quello “del cuore”, che cerca il volto di Dio. Il volto di un Dio che “si muove a compassione del suo popolo”, un Dio che “è misericordioso e pietoso,
lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”.
Davanti ad un Dio così dobbiamo “imparare a credere”, dobbiamo con coraggio “ripensare” con digiuni, pianti e lamenti alla nostra condizione per “ritornare” a Lui, per “ri-volgere” lo sguardo a Lui che non ha mai smesso di guardare a noi.
L’esortazione del profeta Gioele è di una bellezza semplice eppure disarmante: “laceratevi il cuore e non le vesti”, solo “aprendo il cuore” facciamo spazio a Dio. Solo con Dio “nel cuore” possiamo fare esperienza della compassione e della misericordia.
“Lacerare il cuore” è “fare spazio”, è “aprire una breccia”, è consentire a Dio di entrare nella nostra vita, per portare vita alla vita.
Il profeta Gioele conosce le abitudini del popolo di Israele, abituato a lacerarsi le veste in periodi di sofferenza e di penitenza, di dolore o sdegno, ed esorta ad un “cambiamento”: non le vesti, ma il cuore, quel cuore che è il nostro “io profondo”, la “radicalità” del nostro essere, il nostro “autentico io”, il nostro noi come “persone”, dove possiamo, se lo vogliamo, “far entrare” un cambiamento per trasformare la nostra esistenza.
Riflettiamo come la pagina biblica propone la scrittura antica dove non esiste una parola per esprimere la “conversione” intesa secondo la logica della parola greca metànoia (“cambiamento di mentalità”), ma viene utilizzato il verbo shub tradotto con “ritornare” e viene in questo caso utilizzato in modo “collettivo”. Il popolo deve “ritornare”, non i singoli, siamo comunità chiamata, tutti:“ Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti”, radunati per dar voce ad un “gesto pubblico”, insieme, per riunire la voce nella preghiera. Il peccato è dispersione, allontanamento da Dio, è frattura della comunione, ecco perché occorre “aprire il cuore” per accogliere Dio. Perché Dio è lì, non si è allontanato, continua a guardare il mondo con misericordia e compassione.
Misericordia che sgorga dal riconoscimento della nostra miseria, come le parole umili e potenti del salmo 50, quelle che sgorgano dal cuore di Davide, dopo le parole del profeta Natan.
“Pietà di me o Dio”. (Salmo)
“Fammi Grazia”.
Le parole più “umane” della miseria dell’uomo che si riconosce peccatore, anche nel “grande peccato”, anche nella “colpa più grande”: Dio tu puoi donarmi la Tua Grazia.
Pietà di noi o Dio.
Lacrime, sofferenze, preghiere… “(Dio) nel tuo grande amore cancella il mio peccato”.
L’uomo che si “riconosce” peccatore davanti a Dio. Il peccato che “allontana” che fa “mancare il bersaglio” (hattá), che mi fa (‘awôn), deviare, curvare, che è (peshá) sentimento di ribellione: “sfida” a Dio, allontanamento dai suoi progetti…
Dio, cancella la mia ribellione, portami in salvo, lava la mia superbia, la mia arroganza, la mia presunzione…recuperami dal mio smarrimento, dal mio vagare lontano da Te…
E Dio “cancella, lava, monda”, dona misericordia alla miseria, se l’uomo apre uno spiraglio a Dio, Egli concede misericordia senza fine.
Voglio aprirmi a Te o Dio, aprire quella breccia del mio cuore, far entrare quel tuo Amore senza fine, per me. Per me, anche con il mio peccato.
“Secondo la tua misericordia”: non è un “accessorio” la misericordia di Dio, è il suo Nome (hésed).
Pietà, Misericordia, Amore: i nomi di Dio.
Bontà infinita.
“Nel tuo grande amore” (rahammìm), quelle “viscere” di Dio, il suo “grembo di madre”, il suo “cuore di padre”, che accolgono, stringono, assumono dentro di sé, accettano, soffrono e gioiscono…con me…
E Dio compie ciò che non è possibile all’uomo: ama, perdona, concede misericordia senza fine.
La misericordia che “accompagna” la persona, che aspetta, che sa attendere, rispettoso della libertà.
Davide ha “camminato” nella consapevolezza che davanti a Dio, posso riconoscermi peccatore e Lui mi attenderà sempre, mi amerà sempre, avrà sempre la sua misericordia per me.
Davide ha camminato nella consapevolezza di Dio e del prossimo, ha “riconosciuto” la sua colpa, e Dio gli dona un “cuore nuovo”, apre nuovi orizzonti di speranza contro la disperazione, perché la misericordia di Dio “sana” la miseria dell’uomo, rende “nuovi” oltre il peccato, oltre la colpa.
E Dio, come ricorda san Paolo, (seconda lettura) chiama al perdono: “lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” . Dio “si muove” verso l’uomo con un amore straordinario: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore” (2 Cor 5,21). Alla comunità di Corinto in quel 57 d.C. Paolo si rivolge in modo accorato, ma quelle parole sono anche per noi: “lasciatevi riconciliare con Dio”.
La parola usata da san Paolo è importante per il contesto nel quale è utilizzata; il termine riconciliazione era in uso in particolare in ambito veterotestamentario per la riappacificazione tra coniugi.
E Gesù, “passa” attraverso la croce, l’attraversa, pur non conoscendo il peccato è stato trattato da peccato, per noi, per noi che peccatori, potessimo essere trattati come “giusti” davanti a Dio.
Il rapporto con Dio e il suo popolo è un “rapporto di alleanza”, un “patto” (come quello tra gli sposi), e il patto prevede l’iniziativa di Dio che non abbandona, che richiama, che ri-concilia e lo fa con il “sacrificio di Cristo” il Figlio amato che dona la vita al mondo.
Iniziativa di Dio ed accoglienza dell’uomo: Grazia e salvezza.
Pace.
E se ci facciamo “riconciliare”, diventiamo “ambasciatori” di quell’annuncio di redenzione che trasforma la vita se siamo disposti a “lacerare il cuore” per far entrare Cristo.
E Gesù la strada l’ha tracciata… sul quel monte, dopo essersi messo a sedere, indica, come riporta il vangelo di San Matteo da cui è tratto il brano della liturgia odierna, la strada: “elemosina, preghiera e digiuno”, per un “ritorno” al volto del Padre.
“Nel segreto”…
Mi pare importante ricordare “il segreto”, quello che Dio “vede” e quello che ognuno di noi dovrebbe “vedere” dentro se stesso.
“Nel segreto”… non per la “ricompensa”.
Nel segreto… discernere per agire.
Importante il discernimento: è un composto di cernere, fare una “cernita”, quindi “setacciare”, “vagliare”, saper “dividere” e “distinguere”, “separare” per non far confusione e lasciarsi confondere.
E per discernere occorre conoscenza, coscienza e libertà.
E Gesù ci aiuta nella “scelta”: “elemosina, preghiera e digiuno”, ci indica i “parametri” di quell’azione di “giustizia”. Verso i fratelli, verso Dio e vero le cose.
Una “giustizia” che trova la sua dimensione orizzontale e verticale: gli altri (elemosina), Dio (preghiera) e le cose del mondo (digiuno).
Nel segreto… non per essere “migliore”, ma per “vedere” il volto di Dio.
Giustizia che è dono e relazione, che è scoperta della nostra identità di persone, giustizia che è amore verso gli altri, verso Dio e rapporto corretto con le cose.
Il “digiuno” non come “privazione” ma come “condivisione”, come giusto rapporto delle cose che da “mie” diventano “per gli altri”. Gesù dà un nuovo significato al “digiuno”: se in Israele si digiunava in modo pubblico e privato, in segno di lutto, di espiazione, nella festa di Yom Kippur, il giorno dell’espiazione del pentimento (il dieci del mese di Tishrì), Gesù investe di nuovo significato del “digiuno”: gli amici dello sposo non digiunano se lo sposo è con loro (cfr.Mc 2,18-22), solo “dopo” digiuneranno.
Invitati a nozze, siamo chiamati alla vita.
Siamo chiamati al “digiuno” fino al giorno del “ritorno”.
Un digiuno che renderà il “cuore puro”, che aiuterà a meditare e vivere la Parola.
Siamo “invitati” al banchetto per essere comunione.
Un digiuno come annuncia il libro del profeta Isaia al capitolo 58: “Il digiuno che io voglio è che tu spezzi il tuo pane con l’affamato, accolga sotto il tetto chi è senza tetto; condivida il tuo vestito con chi è nudo. Questo è il vero digiuno gradito a Dio”.
Siamo invitati a “digiunare” non per “far cosa gradita”, ma per imparare a “vivere” ed “abitare” la mancanza, per “stare” e “far dimorare” in noi Dio che ci viene incontro, che desidera “abitare in noi”.
Il “digiuno” della pienezza di vita, in Cristo.
Il “digiuno” della “volontà del Padre”.
Il “digiuno” dello sguardo vero l’Alto e verso gli altri.
Il “digiuno” che mi fa “gustare” la comunione.
Il “digiuno” che mi fa distinguere e discernere, che mi aiuta a comprendere l’Amore.
Il “digiuno” del profumo di Dio, del volto della gioia e della speranza.
Il “digiuno” “visto nel segreto dal Padre”, non per avere una “ricompensa”, ma per avere “vita piena”.
Il “digiuno” della “libertà dei figli”.
Il “digiuno” che diventa speranza.
Riporto quelle parole di Clemente Rebora ne “La Speranza”:
“Ho trovato Chi prima mi ha amato
e mi ama e mi lava, nel Sangue che è fuoco,
Gesù, l’Ognibene, l’Amore infinito,
l’Amore che dona l’Amore,
l’Amore che vive ben dentro nel cuore.
Amore di Cristo che già qui nel mondo
comincia ed insegna il viver più buono.”
E quel “corno ricurvo di ariete” suonerà per tutte le volte che sapremo “fare qualcosa per Dio nei fratelli”, per tutte le volte che sapremo dare da mangiare, da bere, vestire, trovare, curare, insegnare, sopportare…per tutte le volte che sapremo con cuore semplice e limpido ri-conoscerci peccatori, ri-conoscerci bisognosi, ri-conoscerci fratelli e trasformare la nostra vita, non per il prestigio personale, ma per porla nelle mani di Dio.
E la mia responsabilità diventerà preghiera, elemosina, digiuno.
Per ricordarci “chi siamo”, verso Chi siamo diretti e da Chi siamo attesi.
Redazione Web
***
Per restare sempre aggiornati sulla comunicazione pastorale proposta da www.risvegliopopolare.it, è possibile iscriversi al nostro
Canale di Whatsapp – cliccando qui –
Ciascuno di Voi (ogni persona, Parrocchia, gruppo, Ente, Istituto) può inviare corrispondenze, appunti, fotografie, brevi filmati, anche utilizzando la casella mail dedicata all’edizione web
risveglioweb@risvegliopopolare.it
che sarà come sempre scaricata ogni giorno.
Tutti i Vostri contributi saranno subito esaminati.
Chi preferisce potrà utilizzare whatsapp al numero
335 8457447
Grazie
***