La documentazione medievale pervenutaci relativa a Pavone ed al suo castello non è molto abbondante e la data precisa della sua costruzione e chi lo abbia fatto erigere rimangono avvolti dal mistero.
Sappiamo da un documento del 22 dicembre 1093 che la Chiesa di Ivrea accensò ad Ottone un pezzo di terra nel territorio di Pavone in località “qui dicitur castellazzo”.
Questo termine lascia supporre l’esistenza di una preesistente costruzione difensiva ormai in decadenza e rovinata forse dal tempo, dall’incuria, o dalle vicende belliche.
La mancanza di documentazione fa supporre che l’abitato di Pavone appartenesse alla giurisdizione diretta del vescovo di Ivrea, tant’è che quando i signori di Romano acquistarono nel 1207 alcune proprietà in loco dovettero preventivamente chiedere al vescovo l’autorizzazione alla stipula dl contratto.
Nel 1214 Oberto, il presule all’epoca in carica, comprò anch’egli terreni in questa località e il documento di acquisto venne redatto “in castro Paoni”.
Al termine castello non si accompagnavano più suffissi o aggettivi peggiorativi, segno che nel corso del XII secolo era avvenuta una trasformazione, o forse addirittura una ricostruzione sul sito del precedente castellazzo.
Non sappiamo chi fece costruire le fortificazioni, se un marchese, il vescovo o addirittura la popolazione locale per farne un ricetto (come potrebbe far supporre la “via ricetti” che corre parallela alla cinta del castello).
In ogni caso, una bolla papale di Onorio III datata 17 luglio 1223, nel confermare e concedere beni e privilegi alla Chiesa eporediese, faceva menzione a Pavone descrivendolo come uno dei più importanti possessi retti direttamente dal vescovo come le località di Vische, Albiano e Chiaverano.
I presuli difesero le loro proprietà dai tentativi di acquisto dei Monferrato dapprima e dei Savoia successivamente sino a quando, nel 1364, il vescovo Pierre de La Chambre cadde in un’imboscata e fu fatto prigioniero della soldataglia guidata dal capitano inglese Robin du Pin, che chiese un forte riscatto per la liberazione.
Occorre ricordare che dopo l’arrivo dei Savoia ad Ivrea i vescovi erano stati costretti a trasferire la loro dimora nel castello di Pavone, poiché il plenipotenziario che rappresentava in città il potere sabaudo si era installato nei locali del vescovado.
Prigioniero nel castello, al vescovo non rimase altro da fare che chiedere un prestito ai Savoia: il 13 aprile 1364 per la somma di 8mila500 fiorini vennero ceduti, con possibilità di riscatto, i castelli ed i luoghi di Pavone e Chiaverano.
Solo il 18 ottobre 1370 il debito venne finalmente saldato e le due località tornarono a far parte del patrimonio della mensa vescovile.
Ma le scorrerie del du Pin e della sua banda arrecarono notevoli danni al castello di Pavone.
Danni che costrinsero il vescovo alla ricostruzione di due mulini, della copertura del tetto, delle porte e delle finestre rovinati dal fuoco senza dimenticare la cisterna dell’acqua resa inutilizzabile.
Durante il XIV secolo la comunità di Pavone ottenne la capacità di darsi una legislazione statutaria sotto il vescovo Palaino Avogadro e dal XV secolo il castello ed il luogo di Pavone iniziarono a scomparire dai primi piani della scena politica canavesana al punto che verso la fine del XV secolo il castello doveva essere decisamente inabitabile.
I lavori compiuti dal vescovo Bonifacio Ferrero all’inizio del secolo seguente rimasero isolati perché ormai la ristrutturazione dell’edificio era ritenuta troppo dispendiosa dai presuli che si disinteressarono del castello, pur mantennero la giurisdizione sulla località.
Con l’arrivo in Canavese degli ideali esportati dalla rivoluzione francese, la comunità locale si rifiutò di corrispondere i tributi annuali dovuti alla Chiesa e contemporaneamente di soddisfare ad alcuni diritti signorili che da secoli i vescovi pretendevano dalla popolazione.
Verso la metà del XIX secolo il castello era ridotto a poche mura diroccate: mancava completamente la copertura e sopra i ruderi del castrum si levava malinconica una torre piatta e circolare.
Si giunge così al 1870, quando lo Stato Italiano espropriò il Castello che venne venduto nel 1885, per 7mila lire, ad Alfredo D’Andrade che iniziò immediatamente i lavori di restauro.
Lavori che, pur basati su studi ed analisi di altri castelli canavesani, denotano più il gusto dell’ideatore che il rispetto dell’edificio originario.
Il soffitto venne preso dal castello quattrocentesco di Strambino, la forma delle mura altomedioevali prese l’aspetto di una nave, le scuderie si ispirarono all’architettura cinquecentesca e, dulcis in fundo, venne collocato sul lato del castello che guarda verso Ivrea un grande pavone in bronzo, simbolo di una inesatta interpretazione toponomastica.
Infatti secondo Giandomenico Serra, linguista canavesano di fama mondiale, il termine Pavone ha una probabile origine latina.
Esso deriverebbe dal termine pagus (contado) o da villa Paponis (come appare scritto in un documento relativo alla donazione di un appezzamento di terra del vescovo eporediese Enrico al monastero di Santo Stefano di Ivrea nel 1044)!
Danilo Zaia
Redazione Web