La settimana di Ferragosto impegnerà i partiti nella presentazione delle liste dei candidati per le elezioni politiche del 25 settembre. Una circostanza grottesca che conferma ulteriormente la gravità della crisi di Governo, avviata inizialmente dallo scontro Conte-Draghi e poi precipitata per la scelta di Salvini e Berlusconi, d’intesa con la Meloni, di puntare subito al voto anticipato.

La maggioranza degli italiani si è espressa contro la crisi, per la stasi politica in una fase internazionale, sociale, economica così difficile; lo stesso Draghi, in carica per gli affari correnti, ha detto che c’è molto da fare e ha previsto un “autunno caldo”. C’è da chiedere all’ex presidente della BCE se, dopo l’astensione grillina al Senato, non sarebbe stato più opportuno perseguire la linea di Aldo Moro della “pazienza” repubblicana, seguendo anche i consigli di Mattarella.

Il quadro politico infatti è in frantumi, con due rotture clamorose: nel centro-sinistra si è chiuso l’asse Pd-Grillini, con sondaggi impietosi che collocano la formazione di Conte sotto il 10% (scompare al Nord, tiene al Sud come partito del “reddito di cittadinanza”). Nel centro-destra è esplosa la crisi in Forza Italia, con l’abbandono in blocco della compagine governativa (Brunetta, Carfagna, Gelmini), critica con la scelta di Berlusconi di accettare l’egemonia “sovranista” di Meloni e Salvini (secondo molti osservatori il patto segreto che ha portato al voto prevedrebbe la Meloni, primo partito della destra, a Palazzo Chigi, Salvini, ridimensionato nei sondaggi, al Viminale, Berlusconi presidente del Senato; i forzisti, tuttavia, chiedono che del premier si parli dopo il voto, per non perdere i voti della componente moderata del partito).

Nel centro-sinistra, con i Grillini all’opposizione da sinistra sulla linea del “Fatto quotidiano”, Letta sta ricercando nuove alleanze, dalla sinistra di Bersani e Fratojanni alla galassia centrista, per evitare una maggioranza parlamentare che porti un esponente della destra radicale, la Meloni, alla guida del governo (sarebbe la prima volta nella storia repubblicana), imponendo un “pareggio” che rimetta la scelta del presidente del Consiglio al Capo dello Stato, com’è avvenuto nelle due precedenti legislature.

Secondo i sondaggisti la partita si gioca in una quarantina di seggi uninominali: qui il Pd punta soprattutto all’alleanza con “Azione” dell’ex ministro Calenda, che potrebbe raggiungere il 10% (i voti dell’ex premier Monti), con il sostegno dei dissidenti moderati di Forza Italia (ma anche alcuni leghisti sono tentati, come il ministro Giorgetti). Tuttavia Calenda pone condizioni pesanti: l’adozione della piattaforma Draghi, l’esclusione della sinistra estrema, non escludendo una sua diretta candidatura a Palazzo Chigi, con il sottinteso ridimensionamento dell’ipotesi Letta. Anche Carlo De Benedetti, “tessera numero uno” del Pd, non manca di criticare la segreteria Letta, “lontana” dai ceti popolari, proponendo un “fronte repubblicano” da Fratojanni a Renzi.

In questa fase si parla molto di nomi e di alleanze, poco dei programmi, che sono determinanti per le scelte degli elettori (con il 40% tentato dall’astensionismo). Il centro-destra deve spiegare come conciliare l’europeismo di Forza Italia con il “sovranismo” alla Orban di Meloni e Salvini (con evidenti conseguenze sulla politica dell’immigrazione); analogamente c’è contrasto tra l’atlantismo “trumpiano” della Meloni e la linea morbida con Putin sulla guerra ucraina di Salvini e Berlusconi. C’è poi la questione del debito pubblico: può crescere ancora, come chiede Salvini, senza mettere in crisi la fiducia dei mercati sulla tenuta economica dell’Italia?

Nel centro-sinistra c’è da chiarire la scelta tra l’agenda Draghi proposta da Calenda e la piattaforma sociale lanciata dai Dem e dalla sinistra; è poi aperta la questione delicata dei temi etici, con proposte diverse delle componenti laiche e cattoliche su alcune scelte (tra cui il ddl Zan), mentre c’è unanimità sullo jus scholae.

Il confronto programmatico è essenziale per coinvolgere i cittadini e per evitare che proposte incerte, confuse, contraddittorie riaprano dopo il voto nuove ragioni di crisi. Nel suo viaggio in Canada, parlando con i giornalisti, Papa Francesco ha ricordato che siamo spesso in crisi. Un monito autorevole, soprattutto per i partiti.