(di Filippo Ciantia)
Nella notte tra domenica e lunedì il missionario comboniano Christian Carlassare (nella foto), nato a Schio nel 1977, vescovo eletto (e quindi non ancora ordinato) della diocesi di Rumbek nel Sudan del Sud, è stato gambizzato. Nella notte, nella stessa profonda oscurità che permise l’arresto del Cristo, i due assassini prezzolati dovevano uccidere il “vescovo buono”.
Non sapevano nemmeno tanto bene il perché, ma è certo che “trenta denari” non li avevano mai visti tutti insieme nella loro vita amara e disgraziata.
I fucili erano pronti, la pallottola in canna. Erano ormai abituati ad uccidere, dopo decenni di guerre, scorrerie, furti, omicidi. Un vivere da vagabondi, non più contadini o allevatori come il resto di quella popolazione del più giovane Stato del mondo, così come Carlassare è il più giovane vescovo del mondo. Una vita da guerrieri della notte.
Ma il “vescovo buono” si sveglia, accende la luce, capisce, mormora una preghiera e sussurra: “abbi pietà di loro, non sanno quello che fanno”. Sulle canne dei fucili sentono una forza strana, forse una mano invisibile. Quelle mani armate erano come quelle degli assassini di tanti anni prima nel nord dell’Uganda: le mani che martirizzarono un altro missionario comboniano, Egidio Ferracin, che con il sacrificio della sua vita aveva ispirato la vocazione dell’allora giovanissimo Christian.
Nel lontano 1987, padre Egidio, inchiodato sulla sua croce, aveva perdonato i suoi carnefici, e il suo martirio li aveva salvati. Ed ora dal cielo li ha chiamati perché nella notte oscura di Rumbek afferrassero con le loro mani, per essere mano di Dio, le canne dei fucili.
Le armi si abbassano e le pallottole colpiscono le gambe, poi fuggono nella notte oscura, anche oggi, come duemila anni fa.
È stato risparmiato un puro di cuore, perché tutti potessero contemplare la potenza del perdono disarmato.