Mario Bertotti nel 1963 pubblicava sul nostro Risveglio Popolare un interessante articolo dal titolo “Antichi pescatori in Canavese” e costituiva un primo e forse unico tentativo di delineare la storia della pesca nel territorio. L’esempio in Canavese più antico sembra quello del lago Pistono a Montalto Dora, che fu sede di un villaggio su palafitte riferibile al Neolitico, scoperto nel 2003, mentre negli Anni ’70 del secolo scorso venne rinvenuta l’imponente palificazione subacquea (circa 5.000 pali) del grande villaggio palafitticolo nel lago di Viverone, tra i due e tre metri di profondità, resti di un antico villaggio dell’età del bronzo, abitato tra il 1650 e il 1350 a.C.. Che gli antenati canavesani avessero dimestichezza con la navigazione lo dimostra anche il ritrovamento presso il lago di Bertignano nel 1978 di una piroga poi recuperata nel 1982. Lunga 3,75 m. è scavata in un unico tronco di castagno. Da un’analisi al carbonio 14 risulta che il legno risale al 1450 a.C.

Durante la romanità il pesce fu addirittura allevato. Dai documenti conservati nel medioevo sappiamo che la pesca era un diritto di ogni residente del luogo ed era vietata ai forestieri. A Barbania solo i residenti potevano raccogliere legna, portare le bestie al pascolo nei boschi e nei fondi comunali, andare a caccia e piscare. Nulla petita licentia, senza richiedere permessi, da un documento del 1472 a Favria, si poteva cacciare e pescare. A Rivarolo nel 1358 analogo regolamento ma con la distinzione di non arrecare danno ai signori o altre persone.

A Ozegna i paesani potevano pescare ovunque ad eccezione dei fossati del castello e del ricetto, analogamente a Verolengo, ma qui il marchese poteva sospendere la pesca privata in occasione di nozze o eventi al castello che richiedevano maggiori quantità di pesce. Il divieto non poteva durare oltre il mese e i privati potevano comunque chiedere il suo permesso anche nel periodo di chiusura.

Quando Domini erunt in Ponto, i signori erano al castello di Pont Canavese, i pescatori dovevano offrire prima a loro il pescato (non si sa se regalato o venduto) per diritto di prelazione. A Balangero nel 1351, a Strambino nel 1438 e a Barbania nel 1400 era proibito ad ogni forestiero di pascuare cum bestiis, boscheare, piscare nei comuni medesimi. A Favria nel 1472 si poteva pescare nei fossati delle mura del paese soltanto con il permesso rilasciato dai Consoli della Credenza.

Negli statuti del 1400 di Azeglio, che ha una riva del Lago di Viverone, si faceva divieto di levare nasse o qualunque attrezzo per prendere i pesci a meno che fossero di proprietà di chi le toglieva o su terreno di sua proprietà (levare nassas vel alia quecumque ingenia pro capiendo pisces). In questa località l’uso di sbarrare i fossi per asciugarli temporaneamente per pescare doveva essere diffuso ma ciò comportava problemi all’agricoltura, quindi fu decretato il divieto di creare censorium nei fossi maestri, principali, anche se questi corsi d’acqua erano nei terreni di chi pescava. In tratti segnalati era consentita la pesca con bertavellis habentibus ala, un attrezzo consistente in una trappola formata da sbarramenti fissi e un imbuto di rete mantenuto aperto da tre o piu cerchi di legno o metallo flessibile, esistente ancora oggi col nome di bertavello. Ad Azeglio si poteva pescare solo nei terreni di proprietà attraversati dai corsi d’acqua e non nei terreni di altri.

Nel 1231 anche a Chiaverano era proibita la pesca in proprietà altrui. Questa pratica era sanzionata a Lessolo nel 1439 se qualcuno veniva sorpreso ad aprire vivai di pesce altrui, quindi i pesci venivano anche allevati in recinti nei corsi d’acqua. Tornando a Chiav-erano, nel medesimo anno, incontriamo la presenza del pescatore incaricato dal Comune o che aveva comprato l’appalto comunale per la pesca in esclusiva nelle acque di quello che oggi è noto come Lago Sirio. Qui la pesca era molto praticata e fin da 1251 era vietato togliere ai pescatori qualsiasi attrezzo per la pesca dall’acqua del lacu syri e a spostare la barca del pescatore comunale. Così come era vietato distruggere le sue conciliam, conche d’acqua usate come vivai. In alcuni casi e periodi, in concomitanza con guerre e pestilenze, la vendita del pescato doveva avvenire alla luce del sole, al mercato e soltanto in certi orari prestabiliti per evitare le vendite sottobanco.

A Strambino i pescatori doveva esporre alla vendita il pesce in plathea, in piazza usque ad terciam, fino alle tre. A Chivasso dove scorre il fiume Po, nel 1306 la vendita del pesce era consentita in piazza, dalla festa di San Michele (29 settembre) fino a Pasqua e prima di una certa ora i pescatori non potevano cederli ai rivenditori. Limiti di luogo riconfermati ancora nel 1517. A Cuorgnè i conti di Valperga nel 1547 avevano ordinato ai loro sudditi di non cacciare, escluso le specie pericolose come i lupi, gli orsi e i cinghiali né “pescare in grande” e cioè stortas facere vel retias que appellantur rebelli vulgariter et scalas tendere vel piscationes magna (fare deviazioni delle acque, fare dighe, o scale per tendere reti e nasse) senza il loro permesso. Qui l’Orco evidentemente costituiva un interessante corso d’acqua ma si poteva solo più pescare con hamum, tribias, grisoliu.

Mario Bertotti nel 1963 scriveva che poche erano rimaste le famiglie che vivevano su quanto potevano trarre dalle acque dei laghi e dei fiumi del Canavese, oggi forse quasi più nessuna anche se la pesca è ancora appaltata dalla Città Metropolitana in Canavese ai professionisti con la Licenza tipo A, soggetti titolari di impresa di pesca, “sui corpi idrici individuati dalla Città Metropolitana”. La pesca professionale è esercitabile nei bacini e corsi classificati “Acque Principali” che per la Città Metropolitana di Torino sono: Lago Grande di Avigliana, Lago di Candia e Lago di Viverone. Nel Settecento e nell’Ottocento non vi furono grandi cambiamenti se non il passaggio delle competenze demaniali allo stato e poi alle regioni e alle ex provincie, oggi città metropolitane.

Malgrado il progresso storico, esiste ancora oggi in Canavese una riserva privata originata dal quattrocentesco “Rescriptum Flumi-nis” di Mazzè un diploma imperiale del 1420 dato a Giorgio, Conte di Valperga uomo d’arme che si distinse contro l’eresia Hussita in Boemia e che ebbe il privilegio imperiale della pesca esclusiva su un tratto del fiume, nella forra sotto il castello di Mazzè. Durante la dominazione napoleonica ad Azeglio la gendarmerie registrava la denuncia del cittadino Pierre Gualla, pescatore che aveva accusato il carpentiere di Azeglio, Jean Baptiste Sirio di avergli rubato il pesce dalle sue reti. Qualche tempo dopo, la sera del 10 maggio 1802 verso le 7, il pescatore si dirigeva verso la propria abitazione accompagnato da Antoine Chiamò.

In località Viassa comparve il Sirio che puntandogli una pistola al petto gli intimò di andare a ritirare la denuncia. Calmato da altri abitanti giunti nel frattempo fu riaccompagnato a casa e poi arrestato dai gendarmi che lo trovarono in possesso di una pistola. Sirio negò ogni addebito. Scagionato per tentato omicidio fu accusato di detenzione di arma illecita e si vide condannato a ben 10 anni di ferri, alle spese processuali e a sei ore di gogna in piazza. Il poveretto morì in carcere il 4 febbraio 1803.

La caccia, la pesca e la raccolta costituirono la prima base economica della vita umana per poi arrivare nel Neolitico all’allevamento del bestiame e alla coltivazione dei campi. Avvenne così il passaggio dell’uomo dal “nomadismo alimentare” allo stile di vita basato sulla agricoltura e la sedentarietà. Ciò si verifico primariamente nella “Mezza-luna Fertile”, una regione storica del Medio Oriente che si estendeva all’incirca sugli attuali stati di Egitto, Israele, Palestina, Gior-dania, Libano, Siria, Tur-chia, Iraq, Kuwait, Iran e Arabia Saudita. Ma la pesca (e la caccia) rimasero attività sussidiarie al mondo agricolo.

La pesca è una pratica che risale almeno all’inizio del Paleolitico superiore. L’analisi isotopica dei resti dell’uomo di Tianyuan, un uomo moderno di 40.000 anni fa dell’Asia orientale, ha dimostrato che consumava regolarmente pesce d’acqua dolce. Caratteristiche archeologiche come cumuli di conchiglie, lische di pesce scartate e pitture rupestri dimostrano questo consumo.
In Africa si pescava agli inizi della storia umana. I Neanderthal pescavano intorno al 200.000 a.C.

 

Mario Bertotti, Antichi pescatori in Canavese, in: Risveglio Popolare n. 24 del 13 giugno 1963
Giancarlo Sandretto, Gli anni della fame. La giustizia penale nel Piemonte napoleonico, in: «Canavèis» n. 40 Castellamonte, primavera estate 2023
Mario Riberi, La giustizia penale nel Piemonte napoleonico. Codici, Tribunali, Sentenze, Giappichelli Torino 2016