Correva l’anno 1636 e infuriava la peste. Per chiederne la protezione contro il contagio, nella chiesa madre della Val Badia fu intagliato un meraviglioso altare ligneo con una statua della Madonna che ancor oggi rende speciale la parrocchia di Pieve di Marebbe. Nell’altare laterale a nord, spicca una piccola statua di San Giuseppe che mostra Gesù bambino ai fedeli. Giuseppe col divino Bambino è uno dei soggetti preferiti dagli artigiani del legno e del sacro di queste valli, tra cui i più noti sono quelli della Val Gardena.

Proprio dalla Val Gardena erano arrivate le due statue che dovevano adornare la chiesa della missione nel cuore dell’Africa. Come tutte le chiese di fondazione comboniana, ai lati dell’altare maggiore, su disposizione esplicita del fondatore, dovevano esserci Maria e Giuseppe. Molto noti nel Trentino e in Alto Adige, i missionari del Sacro Cuore di Gesù si affidavano agli artisti – e ai benefattori – di quelle terre e anche questa volta avevano ricevuto in dono due splendide statue, che furono immediatamente esposte.

Ma il popolo, nella sua ingenua semplicità, rimase colpito dal fatto che entrambe le statue portassero tra le braccia Gesù bambino. “Ma, come è possibile, Gesù è uno solo! Qui ce ne sono due!”

Si aprì così una “questione teologica” che animò per alcuni giorni la piccola comunità dei sacerdoti. Si erano divisi in due gruppi: “Spieghiamo bene la cosa e il disagio si dissiperà”, dicevano alcuni; “Non possiamo confondere questi animi semplici, occorre cambiare!”, replicavano altri. La discussione non pareva trovare un compromesso.

Allora, il parroco e superiore padre Daniele risolse il problema di sua iniziativa. Ingaggiò un abile artigiano del posto e nottetempo il Gesù bambino nelle braccia di Giuseppe venne sostituito con un modellino della stessa chiesa di Kalongo. Così ancor oggi ai lati dell’altare ci sono Maria che ci porta Gesù e Giuseppe che custodisce la chiesa.

Mentre i confratelli discutevano di teologia e di confusione pastorale, l’ultimo arrivato nella comunità, il medico padre Giuseppe Ambrosoli li guardava dolcemente. La mattina dopo per lui c’erano l’ambulatorio e la sala operatoria dell’ospedale con tante sofferenze da lenire e lacrime da asciugare. Mentre si discuteva, nel suo cuore chiedeva a San Giuseppe e a Maria di renderlo strumento dell’Amore che cura ogni male.