Lunedì 5 settembre, nelle aree adibite al mercato settimanale di Pont erano presenti una quindicina di bancarelle, pari a meno della metà dei posti effettivamente disponibili, peraltro già ridotti a seguito delle normative degli ultimi due anni in materia di contrasto al Covid. Si tratta di una fotografia istantanea che, fatte salve le pur possibili temporanee assenze – per ferie, malattia o per l’eventuale partecipazione a fiere concomitanti – di alcuni ambulanti solitamente presenti, purtroppo conferma impietosamente una volta di più la continua contrazione dell’offerta sui mercati all’aperto delle valli e dell’alto Canavese, cui non sfugge neppure una cittadina di 10 mila abitanti come la vicina Cuorgnè.
Una tendenza ormai in atto da almeno un paio di decenni a questa parte, purtroppo ulteriormente acceleratasi dopo le limitazioni delle bancarelle dei prodotti non alimentari e dei movimenti dei cittadini durante i lockdown decretati dal Governo negli ultimi due anni, che hanno ulteriormente favorito il sempre più diffuso mercato on-line per l’acquisto da parte dei consumatori, e la conseguente chiusura di molte attività di commercio ambulante.
E se Pont “piange” il suo mercato sempre più ristretto, tra l’altro con la centralissima piazza Craveri da ormai più di un decennio trasformata in una specie di “rotonda” stradale e la storica via Caviglione abbandonata dalle bancarelle per motivi di sicurezza, note dolenti sul fronte delle presenze di ambulanti si sentono risuonare anche dalla vicina valle dell’Orco, sia nel mercato del mercoledì di Locana che, soprattutto, in quello della domenica di Sparone.
Paiono infatti lontanissimi i tempi (in realtà erano solo gli anni ‘90 del ‘900) in cui Sparone la domenica schierava stabilmente tutto l’anno negli spazi intorno al palazzo municipale una ventina di bancarelle, che diventavano ancor più numerose in estate, mentre oggi, quando va bene, restano tre o quattro ambulanti sparsi nella piazza municipale, per il resto desolatamente vuota e silenziosa. Certo, c’è da dire che allora Sparone era l’unico paese delle valli in cui la domenica si poteva trovare del pane fresco, che i supermercati di Cuorgnè e dintorni erano ancora di là da venire e che il commercio on-line era niente di più che una vaga ipotesi futuribile, apparentemente lontana come la luna.
Negli altri paesi delle valli, come Frassinetto, Valprato Soana e Ronco Canavese, con i loro appuntamenti rispettivamente della domenica, del martedì e del sabato, i mercati settimanali segnalano invece, come ogni anno, un più o meno marcato aumento degli ambulanti presenti nei mesi estivi, in ragione del flusso turistico che, in questa estate caldissima e assolata, è stato particolarmente intenso.
Ma nei centri del fondovalle è ormai un ricordo l’epoca in cui fiumane di valligiani scendevano settimanalmente dalle innumerevoli borgate alpine a far rifornimento di alimentari e generi vari negli allora affollatissimi mercati: un’epoca mitica e irripetibile, cancellata dall’abbandono della montagna, dalla chiusura delle grandi fabbriche locali e dall’avvento dei supermercati e della tecnologia digitale che consente a chiunque, senza muoversi dalla propria abitazione, di comprare di tutto e di più, e di farselo consegnare sull’uscio di casa.
E, in questa congiuntura sfavorevole, i nostri mercati (ma ormai anche le fiere, come quella di San Matteo che si terrà a Pont i prossimi 20 e 21 settembre) rischiano sempre più di diventare nient’altro che un nostalgico tributo a un passato in cui questi appuntamenti erano non solo il momento dell’acquisto di quanto serviva per vivere, ma anche un’occasione irrinunciabile di incontro e aggregazione tra le persone dei paesi.
Tutte cose che, nell’era del “distanziamento sociale” dettato dalla paura spesso irrazionale dei propri simili acuita e instillata dalla pandemia, appaiono ormai obsolete come un vecchio disco a 45 giri.
Marino Pasqualone