Come un moderno Don Rodrigo, Beppe Grillo ha bruscamente interrotto il “fidanzamento” politico tra Giuseppe Conte ed Elly Schlein, tra M5S e Pd, con parole burrascose (“brigate”, “passamontagna”…) al meeting pentastellato sul lavoro. Il fondatore del Movimento non è nuovo a queste iniziative: a Roma ha inteso riaffermare il suo ruolo, ridimensionando Conte; contestualmente ha frenato l’intesa con i Dem in nome della tradizione “movimentista”. Ma il colpo più duro all’alleanza l’ha inferto l’intervento di Moni Ovadia sulla guerra in Ucraina, con la difesa piena di Putin.

Tra i due litiganti (Grillo-Conte) il peggio è toccato alla Segretaria del Pd, presente al Meeting: nel partito è stata accusata di subalternità ai Grillini, soprattutto in politica estera, con un’intesa senza serie basi programmatiche. Nel successivo scontro in Direzione dem sono emersi due partiti: l’ala radicale con la Schlein, quella riformista (Bonaccini) critica su tutto. Il dibattito non è una novità nel movimento socialista, da Turati a Nenni, con la spaccatura tra massimalisti e riformisti (in tempi più recenti l’Ulivo di Prodi – e il suo governo – fu abbattuto da Bertinotti). A tutto si aggiunge ora il duro confronto sui temi etici: ad esempio la Schlein è favorevole alla maternità surrogata, i cattolici ex Popolari fermamente contrari.

La sintesi non appare facile mentre i sondaggi sono sempre “inchiodati” al 20%. Secondo “la Repubblica” nella segreteria dem si sta valutando l’ipotesi di dar vita a due forze distinte, separate ma alleate, per uscire dall’impasse. Il nodo resta quello indicato, per primo, dall’ex premier D’Alema: il mancato amalgama tra le culture politiche – socialista, cattolico-democratica, liberale – che diedero vita al Pd nel 2007. Dall’intervento svolto in direzione la Schlein non sembra intenzionata a mediare tra le diverse posizioni. Rischia – come ha detto l’ex Presidente della Camera Luciano Violante – di perseguire una vocazione minoritaria.

I centristi del Polo “festeggiano” per le difficoltà M5S-Pd, ma a loro volta hanno problemi seri di linea politica. Perdurando la crisi di rapporti tra Calenda e Renzi e guardando alle prossime Europee, Azione e Italia Viva – secondo il “Corriere” – sarebbero favorevoli ad un tetto più basso (3 anziché l’attuale 4) per entrare nel Parlamento di Strasburgo. Se confermata, questa ipotesi conduce a corse separate, sulla scheda, dei due rivali: non un buon segnale. A questo si aggiungono i problemi sui temi etici, con l’ex ministra Bonetti critica con il Pd mentre l’ex ministra Boschi ha marciato con la Schlein al corteo di Lgbtq.

L’opposizione “spezzettata” è un buon regalo per il Governo, mentre Forza Italia si è data una tregua di sei mesi per risolvere i nodi del dopo-Berlusconi. Ci sono tuttavia alcune scelte, nel segno dell’autosufficienza, che lasciano perplessi. Sulla riforma discussa della Giustizia, su cui il Terzo Polo marcia con l’Esecutivo, il ministro Nordio continua ad usare verso i magistrati un linguaggio aspro, non consono al ruolo istituzionale; la legge non può avere un carattere punitivo, ma deve concorrere alla soluzione dei problemi aperti.

Sull’alluvione in Romagna il ministro Musumeci e il vice-ministro Bignani hanno rivolto parole dure e provocatorie verso gli amministratori e le stesse popolazioni, mentre tarda ancora la nomina del commissario. Di fronte ai disastri non ci può essere destra o sinistra, ci sono unicamente persone e territori da sostenere.

È infine positiva la riappacificazione tra Italia e Francia, realizzata all’Eliseo nell’incontro Macron-Meloni. Sono Paesi fondatori dell’UE, non possono scontrarsi. Nel bilaterale franco-italiano non sono tuttavia emersi elementi nuovi sul tema drammatico dell’immigrazione. Dopo la recentissima strage dell’Egeo (con oltre 600 morti), che segue quella di Cutro, Papa Francesco ha chiesto all’Unione Europea un cambio di strategia, passando dalla linea dei rimpatri a quella dell’accoglienza. Macron ha problemi interni con Marine Le Pen, la Meloni con la Lega; ma le tragedie sono così gravi e travolgenti da indurre i leader a una riflessione che superi le pur comprensibili preoccupazioni elettorali.

Nel Mediterraneo è in discussione “il cuore” dell’Europa, la sua capacità di passare dalla dimensione economica a quella politica.