“A volte la storia paga un piccolo risarcimento” concludeva l’articolo di Cazzullo sul Corriere della Sera commentando l’avventura di Adriano Olivetti, che ora ha consentito ad Ivrea di aggiudicarsi l’appellativo straordinario di “città industriale del XX secolo” conferito dall’Unesco, per la coerenza negli anni ’50-’60 di una unica visione non solo architettonica ma culturale tra l’industria e la città.
Un “medaglia” (in realtà un bollino blu) voluta fortemente dalla figlia di Adriano, Laura, e ricercata da pochi, con in testa il Sindaco (oggi ex) Carlo Della Pepa dopo la condivisione precedente di Grijuela. Un solitario percorso del riconoscimento del valore dell’esperienza industriale eporediese è andato in porto, nello stile di autonomia, di autosufficienza e di fatica che hanno caratterizzato la vicenda, specie negli ultimi venti mesi, così come aveva segnato prima la storia della “ditta”. Quanto diverso il casuale confronto con il rumore delle bollicine del Prosecco e della politica veneta.
Ma ora, la medaglia “a cosa serve”? L’utilitarismo non ricorda ideali umanitari, traguardi sociali, bellezze di scorci, simpatia di ambienti, libertà di convivenze. Forse ricorda un benessere diffuso, ma oggetto di invidia, e con i suoi naturali limiti di ineguaglianze. E allora che farsene? Forse uno stimolo per riproporsi il passato? I valori che durano, i semi buttati. Ma il terreno è secco o fertile?
Nella storia olivettiana c’è un filone imparato dai pensatori personalisti e comunitari cristiani francesi (da Maritain a Mounier), che è valido anche senza medaglie, e che la dottrina conciliare ha aiutato a fare emergere. Vederne l’applicazione avvenuta in Ivrea è ancora oggi sorprendente: a quante ricchezze umane e sociali diede vita.
Una medaglia per far nascere una città con turismo di massa? Una cultura umanistica da studiare? O forse solo un esempio da capire bene e poter imitare? E’ innegabile la storia di Ivrea negli anni passati, ma forse non si riesce a concepirne un futuro.
Tre ingredienti per fare un futuro: uomini, studio e fatica. Non appaiono ricette pronte. Perciò apertura al confronto, spazio alle valutazioni, poche attente esperienze da sperimentare senza orgogliose pretese. Strumenti operativi semplici ed autonomi.
Ivrea è stata una ricerca di alternative al pensiero dominante: una terza via basata sulla persona umana nella contrapposizione frontale ai poteri e domini. Né Stato, né individualismi. Affidare a uno strumento ampio e libero la ricerca per realizzare il quarto momento di sviluppo economico, tecnico, scientifico – dopo la meccanica, l’elettronica e l’informatica – che sappia unire la valorizzazione del territorio con l’opportuno strumento urbanistico, con le alleanze scientifiche ed educative necessarie, con forme di lavoro integrato e premiale, con propositi finanziari autonomi e di lunga durata.
Una sfida di convivenza e di comunità. Non credere a strumenti giuridici, ma a forme di aggregazioni agili e attraenti. Non pianificazioni dall’alto, quanto piuttosto opportunità di iniziative singole aperte. Studio e proposte su tavoli di sperimentazione. Non il Comune che sia padrone, ma il garante di equità. “Big numbers” e salute, dati e ricerche di interpretazioni, commercio di beni e idee, e non di benefici.
Un patrimonio UNESCO non da conservare, ma da sviluppare nella convinzione che la città del XXI secolo potrebbe essere quella dell’equità, della conoscenza, della verità.