Una bimba di appena 18 mesi morta di stenti, dopo esser stata lasciata incredibilmente sola per giorni con appena qualche provvista: il caso di cronaca della piccola Diana, che aveva monopolizzato l’anno scorso le cronache, getta nello sconforto, lascia storditi.
Qualche giorno fa la madre Alessia si è beccata l’ergastolo in primo grado. E su di lei facciamo qualche considerazione: sentendola parlare, se misuriamo i suoi comportamenti, troviamo una donna estremamente fragile, non in grado di comprendere che quelle cose lasciate accanto alla piccola mentre lei se ne stava lontana, erano un’idea errata in partenza. Ha preparato i biberon, ha messo la piccola curata e vestita nella culletta in sicurezza, le ha disposto le diverse cose a portata di mano affinché potesse prenderle. Ha svolto una serie di azioni che sembrano chiare e con un intento preciso, ovvero quello di poter lasciare la bambina in totale autonomia e sicurezza. Non è mai stata attraversata dal pensiero di nuocerle, che quello che stava facendo avrebbe avuto delle conseguenze tragiche: a questo non aveva pensato, ha chiuso la porta di casa certa di ritornare e continuare ad occuparsi di lei dopo qualche giorno.
Quella mamma è fragile e lo è sempre stata, e le sue difficoltà a connettere delle cause con delle conseguenze si possono ritrovare in tantissimi episodi della sua vita. Non finge, non manipola: è così. Quegli elementi della giustizia che dovrebbero valutare la capacità di intendere e di volere, sembra che in questo caso non siano stati considerati, travolti da uno stato emotivo di indignazione nei confronti dell’orribile morte della piccola.
Nessuno si è indignato abbastanza per lo stato di abbandono in cui versava la madre. Possiamo interrogarci – come Società – su dove eravamo mentre Alessia aspettava la sua bambina, cosa stavamo facendo, mentre la partoriva, dove stavamo guardando quando la incontravamo mentre spingeva il passeggino. Dovremmo interrogarci su tutte le volte che (non) le abbiamo chiesto come si sentiva, tutte le volte che (non) le abbiamo offerto aiuto per sostenere la crescita della sua bambina…
Non importa se non conoscevamo Alessia, se non siamo stati i suoi vicini di casa, se non l’abbiamo mai incontrata con il passeggino nel parco. Ci sono tante altre Alessia, ci sono tante altre piccole Diana che vivono in situazioni di solitudine, di trascuratezza e noi dovremmo imparare ad aprire gli occhi, ad avvicinarci e capire, porci delle domande, allertare i familiari o i servizi preposti.
Indignarsi dopo è sempre troppo tardi. Come poetava De Andrè in “Canzone del maggio”, “anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”.