(Graziella Cortese)
La cosa meravigliosa di questo film è pensare che si tratta di una storia vera, e di come a volte la vita è così reale (per riprendere le parole di Woody Allen della scorsa settimana) da diventare una favola.
Il Bangladesh, terra di origine dei protagonisti, compare solo a tratti nella pellicola: ne percepiamo un quadro a volte drammatico, con una popolazione che vive in alcune zone in condizioni di povertà estrema e che soffre degli scontri violenti tra clan rivali, o delle proteste anti-governative.
Nura Mohammad è costretto a fuggire da Dacca con il figlioletto Fahim di otto anni, la loro meta è Parigi e la loro speranza è trovare un luogo dove vivere in pace. Ma il soggiorno europeo si rivela più difficile del previsto: ottenere il visto per l’asilo politico risulta complicato e Nura ha notevoli difficoltà iniziali nell’imparare il francese. Il piccolo Fahim, che ha negli occhi il dolore della sua mamma così bella e dolce, cerca di adeguarsi alla nuova vita, mentre suo padre lo sprona a coltivare un dono speciale che possiede da tempo: è bravissimo nel gioco degli scacchi.
Meglio affidare il figliolo a un maestro: l’incontro con Sylvain Charpentier si rivelerà determinante; Sylvain è un burbero omone, dal passato turbolento e dai modi spicci, ma si dedica con passione alla sua classe di ragazzini geniali.
Fahim riesce a partecipare nel 2012 al campionato francese under 12 di scacchi: è l’occasione per il suo riscatto, e si aggiudicherà il titolo tra l’entusiasmo dei suoi ammiratori…
Il volto carismatico di Gérard Depardieu ci rivela che “gli scacchi sono lo sport più violento”, poichè si tratta di una guerra mentale, ma per il giovane protagonista hanno costituito la fuga dalla violenza vera: oggi Fahim studia all’università e ha scritto la sua autobiografia, da cui Martin-Laval (che in Francia è anche un noto attore comico) ha tratto il soggetto per il lungometraggio.