Due fatti rilevanti riaprono il dibattito sul futuro del Paese: i dati drammatici dell’Istat sul crollo delle nascite anche quest’anno, con appena 370 mila nati (200mila in meno in quindici anni); lo scontro durissimo tra due poteri dello Stato, il Governo e la Magistratura, sulla sorte dei migranti in Albania. Con meno nascite e meno migranti, quale Italia vogliamo?
Una prima risposta è giunta dall’Ufficio studi della Confindustria, che ha lanciato un SOS: mancano quest’anno 120 mila lavoratori, sarà altrettanto nei prossimi quattro anni.
A giugno, alla Settimana sociale dei Cattolici a Trieste, era stato lanciato un forte messaggio contro il declino, con la richiesta di maggiore solidarietà, eguaglianza, rispetto di tutte le persone.
Sovente Papa Francesco mette in guardia dalla “società dello scarto”, insistendo per una tutela piena della vita, senza distinzioni, dalla culla alla vecchiaia, da chi è nato in Italia ai migranti fuggiti dalle guerre, dalla fame, dalle dittature, tutti figli di Dio. La questione del declino è nuova: negli anni ’60, nella Torino del “boom” Fiat, con migliaia di lavoratori giunti dal Sud e dal Veneto, un intellettuale della cultura laico-liberale, Luigi Firpo, espresse forti critiche al fenomeno migratorio e auspicò una “piccola Torino” con 600mila abitanti (la Metropoli giungerà ad una popolazione doppia nel 1972). Oggi chi propone una “piccola Italia”? A parole nessuno, ma nei fatti la “società dei consumi” sta portando in quella direzione, se non contrastata.
La caduta delle nascite è il segno di una svolta antropologica che coinvolge tutti: persone, istituzioni, media, scuola, con un’aperta crisi della famiglia e del suo ruolo, con la rottura epocale tra diritti e doveri, con la riscoperta difficile dell’etica della responsabilità. Sono necessari nuovi servizi sociali, un ambiente di lavoro che tuteli la maternità, il no ad ogni discriminazione, ma è primario – come chiesto a Trieste – il rinascere di una cultura della “solidarietà”, con l’apertura all’altro, non con la costruzione di nuove cortine di ferro nel cuore dell’Europa.
Certamente il clima politico non favorisce questo cammino, con una perenne campagna elettorale (si vota tra poco in tre Regioni).
Emblematica la rottura Governo-Magistrati sui migranti: come ha scritto Mattia Feltri su “La Stampa” “…la destra deve dare addosso alla Magistratura, a prescindere da tutto” mentre “il problema vero, a sinistra, è stare dalla parte della Magistratura, a prescindere da tutto”. Il Tribunale di Roma, che ha annullato il trasferimento di 16 profughi nel centro albanese, ha applicato la sentenza dei giudici europei e non meritava tante accuse infondate; lo stesso Governo, con un nuovo decreto-legge ha di fatto riconosciuto la realtà. In aggiunta il Presidente del Senato, La Russa, richiamando una possibile modifica della Costituzione sui rapporti Governo-giudici, ha ammesso che la nostra Carta nata dalla Resistenza, non subordina i Tribunali ai voleri dei Governi, garantendone anzi la piena autonomia; allo stesso tempo ci sono dei limiti nelle critiche delle toghe all’Esecutivo, senza negare il ruolo di “Magistratura democratica”.
C’è una terza questione che emerge ogni giorno: la crescente crisi dell’industria. L’economia nel suo complesso regge (previsto +0,8% nel Pil) per lo sviluppo del terziario, ma un Paese moderno, nell’era tecnologica, può competere senza un moderno sistema industriale? Anziché pensare ad un discusso iter di modifiche costituzionali sul “premierato elettivo” (il precedente negativo del Governo Renzi dovrebbe fare riflettere) e sulle carriere dei giudici (con la separazione tra Inquirenti e Tribunali) sarebbe opportuno, nel rispetto dei diversi ruoli, un colloquio costruttivo tra maggioranza e opposizione. Ci sono ancora tre anni di vita nella legislatura e l’autorevole “Corriere della Sera” teme un logoramento delle istituzioni con il conseguente declino del Paese.
Deludendo qualche talk show televisivo, la priorità alle nascite, ai migranti, al futuro dell’industria è più importante per il Paese (e gli italiani) del duello giornaliero Meloni-Schlein, in attesa anche del più rilevante scontro Trump-Harris.