La legge elettorale maggioritaria tiene insieme i due Poli, sull’asse destra-sinistra, esemplificato dal dualismo Meloni-Schlein, ma nei fatti politici le due coalizioni sono sempre più fragili. Due esponenti di rilievo, Giuseppe Conte e Matteo Salvini, sono “de facto” fuori dalla disciplina delle rispettive alleanze, con alcune posizioni di rottura.

Il leader pentastellato, coinvolto in una guerra “mortale” con il fondatore Beppe Grillo, ha dichiarato di considerarsi “progressista ma non di sinistra”, prendendo ancora una volta le distanze dall’egemonia del Pd. Contestualmente ha attaccato uno dei capisaldi dem: la fedeltà europeista, concretizzatasi nell’alleanza Popolari-Socialisti-Liberali e nel voto per Ursula von der Leyen. Senza questa intesa Bruxelles sarebbe al buio, mentre continuano le guerre nel Medio-Oriente e nella martoriata Ucraina. Su Kiev Conte ha una posizione neutralista ed il giornale fiancheggiatore (Il Fatto Quotidiano) ha difeso l’elezione di un candidato filo-russo alla guida dell’europea Romania.

Peraltro il primo governo giallo-verde (Conte-Salvini-Di Maio) seguiva una politica estera molto attenta a Mosca e Pechino. Gli stessi buoni rapporti Conte-Trump confliggono con il sostegno dem a Biden e Kamala Harris e rendono il contesto mondiale un terreno di scontro tra M5S e Pd (a Montecitorio l’onorevole Appendino ha apertamente attaccato la Schlein su Bruxelles, come se fosse espressione di un partito di opposizione). Per il vagheggiato “campo-largo” del centro-sinistra il clima appare dunque tutt’altro che proprizio, soprattutto a livello nazionale, nonostante le vittorie regionali a Bologna e Perugia.

Sull’altro fronte è analoga la posizione di Salvini, all’opposizione di estrema destra a Bruxelles, nonostante il sì di Meloni e Tajani all’esecutivo von der Leyen, comprendente Il commissario italiano Fitto. Siamo all’esaltazione del nazionalismo “orbaniano” contro ogni disegno di integrazione dei popoli europei, con una politica estera da sempre filo-russa (è ancora vivo il ricordo dell’infelice scelta del leader leghista tra Putin e Mattarella, ovviamente a favore dello zar).

Oggi il vice-premier leghista si unisce alle voci favorevoli dell’intromissione russa in Romania e applaude alle future scelte di Trump, ignorando i rilievi dei ministri dello stesso governo Meloni. Secondo Crosetto (Difesa) la Nato del dopo-Trump dovrà ottenere da ogni Paese un impegno militare pari al 2-3% del Pil: per l’Italia sono migliaia di miliardi. C’è poi la minaccia dei dazi, che possono colpire duramente (ministro Urso) l’industria nazionale. Cosa faranno Meloni e Tajani su queste posizioni della Lega, essendosi rischiata la crisi di governo per alcune centinaia di milioni alla Rai?

La premier Meloni ha mantenuto buoni rapporti sia con Biden sia con Trump: ma la dimensione dei problemi non renderà sufficiente i sorrisi scambiati a favor di camera con l’amico Musk, obbligando ad una scelta chiara tra le 2 sponde dell’Atlantico, tra Bruxelles e la Casa Bianca. Una dura prova per la coesione dei poli, forse un’occasione di recupero per la linea Mattarella dall’interesse primario del Paese.

La fragilità del quadro politico accentua i movimenti dell’area riformista: dagli appelli di Draghi per una forte integrazione europea di fronte alla sfida cino-americana alle iniziative di Prodi per tornare allo spirito dell’Ulivo, non essendo soddisfatto di un Pd simile alla Quercia. Sui media si ritorna a parlare del 2007, della fusione tra Ds e la Margherita: per D’Alema fu “un amalgama non riuscito”, ma allora il partito di Fassino e la formazione guidata da Rutelli erano al 35% dei consensi, mentre oggi il Pd della Schlein è al 22-23.

Al palermitano professor Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate e figlio dell’ex ministro Dc, si attribuisce il disegno della rinascita di una componente cattolica e laica di centro-sinistra, europeista, solidarista, con un forte legame con le istituzioni democratiche nate dalla Resistenza, collegata alle migliori esperienze della cultura cattolico-democratica e socialista, lontana da forzature radicali (dall’introduzione nella Costituzione del diritto d’aborto al rifiuto dello jus scholae). Ruffini non ha sciolto il riserbo, mentre altri media lo vedono – nello schema Prodi – nella figura del federatore del “campo largo” al posto della Schlein con un nuovo Ulivo, molto pluralista.

Anche nell’area moderata del destra-centro (Tajani-Lupi) ci sono spinte per un’attenuazione del modello rigido di contrapposizione destra-sinistra. Il mondo sta cambiando (politicamente, socialmente, economicamente) e la politica sente i limiti del modello istituzionale creato nel 1994, alla caduta della prima Repubblica sotto i colpi vincenti di Tangentopoli.