Riuscire a mettersi in mostra, a far arrivare il proprio messaggio per sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema importante non è facile, e a volte una plateale protesta può avere anche un effetto controproducente.
Che cosa rimarrà del gesto delle attiviste a favore del clima che hanno tirato della zuppa sul quadro di Van Gogh? Sicuramente una riflessione sulla fragilità dell’arte, sulla sicurezza nei musei, sul dilemma di come permettere l’avvicinamento ad un’opera unica ed irripetibile. Quell’azione di protesta ha creato sdegno, dissenso; ha portato a prendere le distanze dall’operato delle giovani attiviste e il tema del clima, che era al centro del loro gesto, è scivolato subito in secondo piano, coperto dalla reazione al gesto stesso.
Sicuramente la sensazione che scioperi o altre forme di protesta pacifiche e non sensazionalistiche non portino a scrollare da una sorta di stato soporifero l’opinione pubblica (e la politica quando dovrebbe occuparsene) è evidente; talvolta sembra che la stragrande maggioranza delle persone sia divenuta insensibile a temi sociali o, quantomeno, difficile da coinvolgere in un’azione sociale e partecipata.
D’altra parte chi partecipa ad un movimento di cambiamento lo fa perché si sente non solo solidale ma si identifica con i valori espressi dall’interesse collettivo. Una persona partecipa ad un atto di protesta se ne condivide l’identità, se considera l’azione collettiva efficace per raggiungere gli obiettivi contro il “responsabile dell’ingiustizia”. Sebbene l’attenzione sul clima sia di assoluta importanza, la necessità di operare dei cambiamenti duraturi nella gestione delle risorse sia una vera emergenza, in questo caso non era certo Van Gogh il “responsabile” da prendere di mira. Per questo l’azione delle attiviste non solo è stata inutile, ma è diventata controproducente, perché non è stata rivolta verso un obiettivo condiviso, e questo ha fatto apparire il gesto fuori controllo e ha scaturito l’emersione di sentimenti di paura e di rabbia.
Le azioni a favore dei cambiamenti climatici andrebbero realizzate coinvolgendo le piccole comunità, dialogando con chi può promuovere, all’interno dei propri territori azioni specifiche, anche di apparente piccola entità che però, se mantenute e sostenute da tutti nel tempo, possono operare quei cambiamenti importanti non solo di esempio ma anche promotori di una politica territoriale diversa.
Il lavoro sulla comunità favorisce l’identità e il senso di appartenenza, permette soprattutto che ogni persona si senta responsabile dell’azione positiva a favore del bene comune, amplifica l’azione sociale che diventa azione di fiducia, che permette il supporto reciproco. Le interazioni, in un movimento che parte dalla comunità sono positive, sono qualitativamente di spessore perché si condivide il problema, consente il controllo delle azioni che si desiderano mettere in atto e, attraverso la partecipazione si contribuisce a creare il senso di identità sociale.
Il senso di comunità fa superare le differenze individuali, politiche, religiose; quando si muove la comunità si muove un “noi” che abbraccia tutti. Facilmente anche nelle piccole comunità esistono le diverse fazioni, se però l’obiettivo è quello di tutti, una soluzione è possibile trovarla. Anche nella protesta c’è un’etica e chi viene ricordato perché ha contribuito ad un grande cambiamento è colui, o coloro, che hanno fatto qualcosa di importante per tutti. Non così per chi fa danni!