Sono stati recentemente divulgati i dati del Rapporto Ocse Pisa (Programme for International Student Assessment) che valuta le competenze degli studenti tra i 15 ed i 16 anni in 81 Paesi del mondo, Italia inclusa, e offre un quadro comparativo delle abilità e delle conoscenze dei ragazzi che possono essere state acquisite in contesti scolastici o naturali e che implicano il pensiero critico, la creatività e l’efficacia dell’apprendimento.
Il rapporto dice che la preparazione generale di tutti gli studenti – non solo quelli italiani – è precipitata: malgrado i programmi e le innovazioni tecniche e didattiche che sono state realizzate nelle scuole, i risultati sono simili a quelli rilevati nel 2012 (un passo indietro di 11 anni).
Siamo sempre del parere che alla scuola non può essere delegato qualunque tipo di formazione ed educazione, e leggendo questi dati ci interroghiamo su che cosa ostacoli il reale sviluppo di conoscenze e di competenze negli studenti.
Nel rapporto si fa appello ad un uso moderato della tecnologia, perché se abusata ostacola i processi autonomi di risoluzione dei problemi. Colpisce tuttavia ancora di più il dato che per la rilevazione delle competenze matematiche – che sono risultate maggiormente carenti – è stato fatto riferimento a problemi afferibili alla vita quotidiana. È come se la “cultura della strada” fosse la grande assente nella vita di questi giovani. Ma la possibilità di imparare nella vita di tutti i giorni fa si che l’apprendimento di ogni tipo di materia diventi significativo, oltre ad essere oltremodo concreto.
C’è da chiedersi se questo scollamento tra quanto appreso a scuola e quello che serve nella vita (o viceversa) esista perché non viene permesso ai giovani una sperimentazione piena di sé, con le proprie abilità e con le proprie conoscenze. C’è da chiedersi se i cosiddetti “genitori spazzaneve” (quelli che sottraggono al figlio ogni asperità nel cammino), non siano responsabili della coartazione della mente prima e di tutta la persona poi. Li vediamo intromettersi nella vita dei figli, discutere al posto loro con il “mister” per la partita di calcio e il ruolo assegnato al pargolo, difendere a spada tratta risultati mediocri quanto accontentarsi del minimo impegno per uscire (loro) dall’ansia dell’attesa. Al contempo ecco i genitori che stressano i figli per competenze che non hanno, spingendoli ad acquisirle in modo raffazzonato nell’illusione di vederli farne sfoggio là dove per loro non è stato possibile arrivare.
Cogliendo spunto dal Rapporto OCSE si potrebbe decidere di permettere ai figli di fare da soli e secondo i loro tempi, per crescere, maturare e affrontare le sfide quotidiane.