Sull’idea di Oratorio aleggia in me una duplice connotazione che l’ha sempre reso – ahimè – un filo distante dalla mia personale esperienza ecclesiale. Da un lato custodisco i preziosi ricordi dei campi estivi da piccolo con la pastorale giovanile di Luino, dove mio cugino era viceparroco; dall’altro ho con gli anni collezionato una serie di racconti, specchio di grande povertà spirituale. Ma come tutte le cose esterne è bene prima o poi assaggiarle.

In questi giorni sto girando un documentario sulla fondatrice di una congregazione di suore. Alcune di loro svolgono servizio proprio negli oratori delle parrocchie limitrofe. Si sa, dopo una giornata pienissima di lavoro, le conversazioni più sciolte e sincere avvengono in macchina sulla via del ritorno. La suora al volante mi fa immergere in una delle tantissime parrocchie. Qui lei cura il catechismo e l’oratorio di un gruppo di ragazzini, una sessantina, che a breve incominceranno il percorso per la Cresima.

Subito la provoco con le mie fredde parole, tra cresimandi che tutto confermano meno che la propria fede e ragazzi che appena fuori l’oratorio tolgono la maschera del bravo ragazzo per rivelare il deludente scheletro. Lei mi ferma subito: “Bisogna amarli!” Mi sistemo meglio la cintura e sono tutt’orecchi.

Mi racconta di un ragazzino, non il miglior esempio fra i compagni, spesso assente, mentre le volte che c’era scaldava solo la sedia e non partecipava quasi mai. “Mi sono informata sulla sua storia famigliare – mi racconta la suora – e sono rimasta disarmata”. Il padre si è tolto la vita e la mamma si è completamente chiusa. Capite quanto questo possa fare male al figlio. “Ho chiesto consiglio al parroco che mi ha detto solo una cosa: Amalo!”.

Per un periodo lui non è più venuto in oratorio, al ritorno ad accoglierlo c’era una sorpresa. “Abbiamo preparato un pacco regalo con tutti i pensierini che ogni settimana abbiamo realizzato per lui. Il dono più importante? Un abbraccio”. Forse il primo che riceveva dopo tanto tempo. L’incontro successivo è la suora che si apre ai ragazzi. “Io ero malata di tristezza. Per anni sono rimasta così dopo che avevano ucciso i miei fratelli lo stesso giorno. Gesù però mi ha guarito, guarisce le malattie più profonde, quelle dello spirito”. Il ragazzino ha spalancato gli occhi. “Anche io ho la stessa malattia perché mio papà si è tolto la vita”.

Tutti allora hanno condiviso la propria malattia spirituale che Gesù viene a lenire. Il ragazzo ora non manca più di venire in parrocchia, lì è amato.

Questo è per me oratorio. Ad personam e allo stesso tempo con e per la comunità. Con l’unica idea vincente che è la strada dell’amore. “Solo manifestando loro l’amore di Cristo i ragazzi torneranno: non perché obbligati, né abitudinari, ma perché innamorati”.