“Chaire, kecharitoméne – Rallegrati piena di grazia” (Lc.1,26-38): nel cuore dell’Avvento la luce della “nuova aurora”, di Maria, con il titolo di Immacolata Concezione, rischiara le tenebre del mondo, per lasciare intravedere il “sole che sorge dall’alto” (Lc.1,78), culmine del Mistero dell’Incarnazione e della salvezza dell’uomo. Celebrare l’Immacolata, festa istituita ufficialmente con la proclamazione del dogma nel 1854 dal Beato Pio IX – ma già onorata precedentemente dalla Chiesa – significa alzare lo sguardo a Colei che “Dio – come sottolinea il Catechismo – ha scelto gratuitamente da tutta l’eternità, affinché fosse la Madre di suo Figlio”.

“Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te” (v. 28): la nuova storia prende avvio “nel sesto mese” (V. 26), in un tempo e luogo definito e storicamente certo – la piccola Nazareth – Dio, attraverso il Suo messaggero si rivela ad una giovane vergine, Maria, svelandone la sua straordinaria natura. Nel salutarla, infatti, l’Arcangelo Gabriele la definisce “ricolma dell’amore di Dio”, definendo l’identità più profonda e intima di Maria, “il nome, per così dire, con cui Dio stesso la conosce, preservandola dal peccato originale” (Papa Benedetto XVI; 8/12/2010), in vista di quel Figlio, “nato da donna” (Gal 4,4).

“Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei” (v. 38): si legge nella Sacra Scrittura che quando Dio creò il cielo e la terra e chiamò all’esistenza le miriadi di stelle, queste risposero “Eccoci” e brillarono di gioia “per Colui che le aveva create” (cf. Bar 3,35). Maria è la gioia, la letizia liberata dall’annuncio che svela il suo essere più profondo, la sua missione, il senso della sua vita. Il verbo con cui Maria esprime il suo consenso, e che è tradotto con “fiat “ o con “si faccia “, nell’originale, è all’ottativo (génoito), un modo verbale che in greco si usa per esprimere gioiosa impazienza che una certa cosa avvenga. Come se la Vergine dicesse: “Desidero anch’io, con tutto il mio essere, quello che Dio desidera; si compia presto ciò che egli vuole“(Cantalamessa, 18/12/2009).

Lc 1,26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe.
La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?».
Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».
E l’angelo si allontanò da lei.