Ci sono delle notizie che per essere commentate richiedono calma e sangue freddo, perché altrimenti si rischia di scrivere quanto c’è di più scontato, farsi sopraffare da inutili pregiudizi e non riuscire a porsi con l’intento di analizzare un fenomeno e di comprenderlo nella sua interezza. Soprattutto quando è qualcosa distante da noi, quando è qualcosa che non conosciamo e di cui non facciamo parte. Quando ci si muove sul sentito dire. In questi casi, più che in altri, occorre studio, osservazione e dialogo con chi si muove in un mondo che molti di noi neanche immaginano.
Se per tutti il rave party è un evento, per alcuni è la possibilità di vivere al massimo il connubio tra il progresso tecnologico e un rito tribale. La ricerca di un sistema diverso da quello che impone limiti a tutto: l’entrata è libera, si ricerca uno stato di benessere e di contatto con altre persone e con un territorio che nei contesti di vita abituali non si può vivere. Attraverso un tam-tam fatto di segnali che solo alcuni sanno decifrare per raggiungere un luogo segreto dove ascoltare musica, incontrare altre persone che condividono le stesse passioni ed esprimere la propria creatività. Si rispecchia, in qualche modo, una società che si sposta continuamente, in modo veloce e (fino ad un certo punto) anonimo, rispecchia la globalizzazione e la capacità di superare limiti e barriere.
Per altri partecipare al rave significa andare contro corrente, mettere in discussione il sistema, sballarsi, uscire dalla realtà, ballare consecutivamente per svariate ore, rimanere svegli per diversi giorni. È la possibilità di trovare e provare sostanze di ogni tipo e di non doversi nascondere per poterlo fare. E’ di questi ragazzi che spesso si sente parlare, come avvenuto per la ragazza scomparsa dopo il rave party di Feletto. Queste ultime persone sono quelle che vivono le conseguenze dello sballo, a cui sicuramente non si pensa o, per qualcuno, sono un rischio calcolato. Confusione, svenimenti, tremori, attacchi di panico, episodi psicotici, sono solo alcuni tra gli effetti collaterali che si possono avere in seguito all’assunzione di dosi massicce di sostanze psicoattive e di alcool. Questo però non accade solo per i rave party, accade a chiunque usi sostanze illecite. Questi ragazzi che vanno contro il sistema, vanno incontro allo stesso sistema che li sfrutta e che li usa per mantenerli in una tossicodipendenza; il mercato della droga che è sempre attivo, è sempre in grado di proporre qualcosa di nuovo, qualcosa da provare con danni all’organismo sempre più severi. Quel mercato che gli impone di passare dall’uso di una sostanza ad un’altra per non andare in astinenza, per non far sentire il peso della normalità. Questi ragazzi che combattono la società contemporanea sono quelli che poi la mobilitano soprattutto nel sistema dei soccorsi, che si attiva per evitare che qualcuno si faccia male, per permettere a chi si è perduto di ritrovarsi, magari ancora sotto gli effetti di stupefacenti e ancora in stato confusionale.

Così mentre questi giovani e gli episodi ad essi connessi sono quelli che vengono messi in evidenza, scopriamo che le persone appena descritte desiderano tornare a sistemi di autogestione e di sostenibilità che non mi aspettavo di ascoltare; che attraverso questi eventi si conoscono e riflettono su nuovi metodi per cooperare, al desiderio di riprendere spazi inutilizzati, riportare cattedrali nel deserto ad una nuova vita, libera da un tipo di economia che crea un divario tra chi si può permettere di spendere soldi per un ingresso ad un locale e chi no, che vuole sempre combattere la società attuale ma attraverso la possibilità di reinventarsi positivamente attraverso comunità ecologiche sostenibili, tenendo lontani quelli che creano “casino”.
Questa evoluzione per qualcuno è l’unica possibile perché i ritmi da inventare oggi non sono quelli frenetici che ti spaccano il cuore, ma quelli che ti rimettono in equilibrio e in contatto con tutto ciò che ti circonda. Le ultime riflessioni le lascio a voi. Oggi mi riservo solo il dovere di cronaca.

Cristina Terribili,
psicologa-psicoterapeuta