Raccontò di aver iniziato a scrivere perché si era accorto di avere paura di leggere ad alta voce. Alcuni dei suoi insegnanti accettarono questa sua difficoltà, altri invece lo osteggiarono, convinti vo-lesse fare il furbo ed evitare le interrogazioni! Scriveva all’inizio brevi storie e poesie molto corte. In questa insolita forma espressiva trovò una sicurezza che vinceva il suo panico. Un po’ come i bambini che disegnano la loro casa, dalle nostre parti con il camino fumante e in Africa con il fuoco fuori dalla capanna… Disegnano il luogo segreto della loro sicurezza, dove è possibile sopportare la solitudine e trovare sé stessi e chi ci ama.
Con questa confessione lo scrittore e drammaturgo norvegese Jon Fosse iniziò il suo discorso davanti all’Accademia Svedese di Stoccolma quando, il 7 dicembre 2023, fu insignito del Premio Nobel della letteratura.
A Natale mi hanno regalato due libri che raccolgono le prime cinque parti della sua opera più famosa “Settologia”. Un’opera monumentale: chissà se riuscirò mai a completarne la lettura! Eppure scorrendo le pagine, sorpreso dalla sua originalissima quasi totale mancanza di punteggiatura, aumenta la curiosità e l’attrazione, anche per la ricchezza di termini e immagini e, soprattutto, di simboli. A partire dal numero che dà il nome all’opera: sette, simbolo secondo la Bibbia di completezza e totalità. Peraltro la sua opera precedente era intitolata “Trilogia”: tre, il numero della Trinità, la perfezione divina come comunicazione silenziosa dell’Amore.
Per Fosse “scrivere è come respirare”, sempre alla ricerca, vitale necessità per la sopravvivenza. Grazie al suo lavoro solitario e silenzioso, intere comunità si sono riunite ad assistere alle sue opere rappresentate sul palcoscenico. L’ascolto della sua anima lo ha portato a creare parole che si compongono tra loro come la musica e invocano come una preghiera. Ha compiuto un lungo percorso dall’esistenzialismo e dall’alcolismo, fino alla conversione, piena e convinta, al cattolicesimo. Un gesto ribelle e coraggioso, controcorrente, ascoltando il proprio cuore e guardando al mondo.
Franz Kafka disse una volta, in una lettera del 18 ottobre 1921 a Max Brod, che “Scrivere significa aprire sé stessi in modo smisurato, esagerato, spropositato. Scrivere è una forma di preghiera“.
Per questo anche io scrivo.