La domanda mi sorge spontanea: quante persone nel mio palazzo sanno che il 25 maggio prossimo entra in vigore il nuovo regolamento europeo sulla privacy?
Perché un dubbio io ce l’ho: chi mi sta vicino, chi vedo aprendo la finestra o viaggiando in bus per andare a lavorare ha capito di cosa si tratta e quali sono le implicazioni nostre e altrui?
Perché le leggi sono utili, ma poi alla Signora Maria chi glielo spiega che è proprio meglio non scrivere sui social che è ricoverata per un accertamento in ospedale?
La riservatezza non è qualcosa che possiamo delegare ad una legge, la riservatezza deve essere un imperativo di ogni singola persona. Ricordate quando le malattie non si potevano nominare? Le vicine si incontravano sul pianerottolo e si aggiornavano sullo stato di salute della signora Y che era stata colpita da “un brutto male”…
Ve lo ricordate quando i “panni sporchi” si lavavano in casa? Quando si parlava sottovoce per non farsi sentire e i segreti di famiglia si portavano nella tomba? O che era la portinaia che sapeva sempre tutto di tutti perché sbirciava la posta alzando un lembo della lettera con il vapore? (Poi lo richiudeva ma si vedeva che era un po’ stropicciato da una parte).
Forse sto diventando vecchia perché io me lo ricordo bene.
Ma poi ad un certo punto tutto è cambiato e se da una parte abbiamo cominciato a mettere crocette e firme per richiedere la tessera del supermercato (perché, in linea ipotetica potevamo opporci alla cessione dei nostri dati ad altre aziende), dall’altra una grande percentuale di persone ha deciso di dare tutta una serie di informazioni personali sui social. A beneficio di chi poi le utilizzerà, magari per svuotare un appartamento dichiarato sguarnito dai proprietari perché beatamente sdraiati al sole.
Eppure, sebbene alcuni aneddoti rasentino il grottesco, non posso fare a meno di pensare che ci troviamo di fronte ad un problema serio ma che dobbiamo affrontare da un altro punto di vista: l’aspetto giuridico da solo non basta e non basterà a proteggere la riservatezza delle persone.
L’inasprimento delle pene e delle condanne proteggerà solo in parte persone che, per il solo fatto che ignorano la visibilità che alcuni contesti virtuali possono dare, non esitano a porgere a chiunque le proprie questioni personali. Non soltanto informazioni personali, ma anche foto, video, messaggi. Non soltanto si conosce, di una persona il nome, il sesso o l’età; si conosce dove abita, dove va in vacanza, il suo orientamento politico, che cosa pensa della vita, come affronta i problemi. E questo è accessibile a tutti.
Oltre a cambiare la legge dobbiamo pensare ad un’alfabetizzazione di tutti al rispetto della propria persona e della propria vita, così come di quella altrui.
Dai bambini agli anziani, tutti vanno educati al senso della privacy, all’uso dei social e della rete in generale, ma anche di cosa significa dare la propria approvazione all’uso di un’immagine o di uno scritto. Alfabetizzare per far capire dove ci sono contesti ed informazioni che non vanno bene insieme, che creano una miscela esplosiva; che non tutto va spifferato o fatto vedere a tutti. Bisogna insegnarlo ai ragazzi che fanno i video ai compagni in difficoltà, e che poi li fanno girare per scherzo o a chi, per una vendetta qualsiasi, posta il video della persona odiata per metterla alla berlina di fronte al mondo, o che copiano ed inoltrano un messaggio personale ad un gruppo su Whatsapp.
Attraverso questa nuova legge una persona potrà ottenere più facilmente la cancellazione dei dati, foto, video che la riguardano dalla rete in modo completo ma non potrà cancellare la vergogna di essersi vista esposta agli occhi di tanti. Da qui sono passati tanti giovani, ragazzi e ragazze che hanno poi compiuto gesti estremi perché vittime della propria leggerezza, o perché si sono fidate di chi invece le ha tradite.
Le leggi sono utili ma la testa per metterle in pratica deve essere la nostra e dobbiamo imparare ad usarla.
Cristina Terribili