(Cristina Terribili)

C’è un bellissimo passaggio nel “Piccolo Principe”, in cui la volpe spiega al protagonista perché i “riti” sono importanti: “un rito è quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore” e il rito a cui fa riferimento è quello della festa, del ballo dei cacciatori, in cui la volpe è libera di andare a mangiare qualche gallina.

Uno dei riti che a molti è mancato di più durante il lockdown è stato quello dell’aperitivo. Durante quei giorni faticosi di reclusione forzata, qualcuno si era organizzato con l’aperitivo sul balcone, altri che lo facevano a distanza sul web con gli amici… non proprio come al bar, ma quasi. Non sono mancati gli aperitivi da asporto.

Fino ad ora i neuropsicologi si erano occupati di studiare l’effetto “cocktail party”, cercando di capire come il cervello riuscisse, in una situazione caotica e rumorosa, come appunto quella di una festa, a captare segnali acustici distinti, capaci di attirare l’attenzione.

Hanno scoperto che l’area della corteccia uditiva secondaria, deputata proprio all’interpretazione dei suoni, è quella che si attiva in queste situazioni. Però chi va a farsi un aperitivo di certo non pensa alla corteccia uditiva, quanto piuttosto di ritornare ad un’abitudine, ad un rito che gli consenta di mettere una barriera tra un prima ed un dopo. Il prima è la giornata a scuola, a studiare, al lavoro e il dopo è il vestito che cambia, il trucco che si rinnova, è la telefonata con la voce garrula agli amici, l’emozione dell’appuntamento, dell’incontro, del mostrarsi e del guardare chi c’è intorno… Ancora di più oggi, proprio perché si è stati limitati tanto ieri.

Oggi è un moltiplicarsi di dehors e, come ha scritto qualcuno sui social, “in città ci sono ormai più dehors che parcheggi”. Non è difficile incontrare all’aperitivo anche chi non aveva l’abitudine di “farselo”, perché come un tam-tam, il richiamo al rito è diventato forte da essere sentito come un vero e proprio bisogno.

Così, se prima del Covid qualcuno aveva parlato di una società de-ritualizzata, in cui il bisogno della persona di emergere nella sua individualità faceva si che il rito perdesse di importanza, soprattutto nelle pratiche sociali, oggi il cambio di tendenza si vede e si sente forte.

Quel senso di comunità a cui si è sempre rimandato, per responsabilizzare tutti a favore di comportamenti adeguati per sé e gli altri, ha permesso al rito di ritrovare energia nel connettere le persone e nel fare in modo che la piazza, la strada, siano tornati ad essere l’elemento aggregante dove il gruppo, che ha bisogno di riformarsi, trova un “suo” luogo di elezione.

È attraverso la condivisione degli stessi riti che ci si riconosce appartenenti allo stesso gruppo. I gesti che accompagnano un rito costruiscono la comunità, il tempo del rito diventa funzionale a strutturare un nuovo linguaggio che andrà poi decifrato. Ci aspettiamo dunque che si strutturino nuovi modi di concepire vecchi riti e nuove parole che accompagneranno lo stare insieme della società di oggi.

Essere in grado di leggere i nuovi riti, i nuovi movimenti di gruppo permetterà di capire anche come organizzare servizi e avviare modelli di prevenzione per permettere a tutti la migliore convivenza possibile.