Il Forum Nazionale delle Associazioni Familiari dallo scorso 18 marzo, ha un nuovo presidente: si tratta di Adriano Bordignon. Quarantasei anni, di Treviso, è sposato dal 2006 con Margherita e ha tre figli, Teresa, di 14 anni, Gabriele, di 11 e Zaccaria, di 7. Bordignon è direttore del Consultorio familiare di Treviso e amministratore unico del Centro Servizi Famiglia impresa sociale srl che dà servizi alle famiglie sia di carattere educativo sia legati al turismo sociale.

Mi sono sempre interessato dell’ambito del sociale, sono stato presidente del Csv di Treviso, sempre impegnato nel Terzo settore e nell’associazionismo familiare, da due anni sono presidente del Forum del Veneto – racconta al Sir –. Con mia moglie mi sono sempre impegnato in questo settore perché riteniamo la famiglia un’esperienza esistenziale che segna nel bene e nel male. Il nostro obiettivo è cercare di renderla più significativa per tutti. Siamo anche impegnati nella pastorale familiare: siamo stati animatori dei gruppi sposi, dei gruppi fidanzati, della scuola di formazione familiare di tre anni per diventare operatori pastorali e civici per le famiglie. Tutto questo in un posto privilegiato che ci ha forgiato e ci ha aiutato a far esplodere quei piccoli talenti che avevamo che è il Centro della famiglia della diocesi di Treviso, uno spazio che ogni anno forma, mette in circolo un sacco di nuove famiglie, che si mettono a servizio della comunità, è una fucina di bene che ci ha contagiato. È da questa storia che nasce il nostro impegno dentro al Forum”.

Quali sono le sfide più importanti che il Forum adesso deve affrontare?

Noi entriamo con il prossimo Consiglio direttivo dentro una storia che parte da lontano e ha vissuto varie stagioni: negli ultimi otto anni di presidenza di Gigi De Palo, con l’attuale Consiglio, il Forum ha fatto un salto di qualità importante. Noi entriamo e continuiamo questa storia con passione, orgoglio, andiamo avanti sui percorsi che sono stati segnati ma faremo anche cose nuove. C’è un grande lavoro culturale da fare che è stato iniziato e che necessita di essere messo ancora di più a fuoco e che riguarda la confusione che ha regnato attorno alla famiglia in tutti questi anni. La nostra sfida è quella di tirare fuori le questioni della famiglia e della denatalità dal bazar della politichetta, dallo scontro ideologico, dalle visioni parziali e di parte e farne invece un asset di investimento per il Paese, un asset strutturale attorno alla questione strutturale della denatalità che incide su tutti i settori di vita del Paese di oggi e di domani ma anche sui livelli di coesione sociale, di generatività non solo fisica, ma anche di idee, di produttività, di competitività, di crescita culturale del Paese. E questo lo si fa riconoscendo che la famiglia è un soggetto, non un mero aggregato di persone e come soggetto è portatore di diritti e di doveri, cioè di responsabilità e che non ha bisogno di elemosine, ha bisogno di essere “capacitata”, cioè messa nelle condizioni di fare al meglio tutto quello che sta nelle sue potenzialità.

Cosa ha riscontrato nella sua esperienza sul campo nei territori?

Sì, vengo da un lungo impegno sui territori e posso dire che normalmente le politiche familiari sono considerate solo come l’ultimo vagoncino delle politiche sociali e confuse continuamente con le politiche di lotta alla povertà. I nostri assessori comunali e regionali riconoscono le famiglie solo come luogo della povertà economica, il luogo della povertà educativa perché è quello che, con un gioco di parole, possiamo dire “emerge nell’emergenza” dei servizi.

Da che cosa occorre partire, invece?

Dalla presa di coscienza che la famiglia non è un’emergenza da tamponare occasionalmente ma la struttura portante del Paese da sostenere sempre. La maggior parte delle imprese, in Italia, sono di origine e di gestione familiare. L’impresa nasce in famiglia, non in Università, l’economia si basa su questo. La solidarietà intergenerazionale, la solidarietà tra i componenti la famiglia è tra i più grandi ammortizzatori sociai che esiste in Italia, il primo, il più veloce, il più completo e quello che continua fino all’ultimo, ma allo stesso tempo, lo dice Papa Francesco, la famiglia è un laboratorio dove le persone si sperimentano a vivere nel mondo, a essere in relazione con gli altri, ad attivare dei processi di collaborazione che non siano meramente opportunistici. Se noi non mettiamo le famiglie nella possibilità di svolgere queste funzioni, le famiglie iniziano a funzionare male e ne abbiamo delle evidenze: famiglie non supportate, non valorizzate, considerano che è troppo rischioso, troppo fatico so, troppo poco riconosciuto mettere al mondo dei figli. Famiglie che non sono nella condizione di coltivare quello che è loro proprio, naturale – il livello delle competenze educative e relazionali – rischiano di non trasmettere alle nuove generazioni una cultura della solidarietà, del lavoro, del rispetto. Ma non è una responsabilità delle nuove generazioni, è una responsabilità di un sistema che non permette alle famiglie di farlo. Questo è il quadro strutturale.

C’è qualcosa da fare anche al vostro interno?

Operativamente abbiamo da fare un lavoro nel Forum che deve essere portato avanti perché l’associazionismo in generale e quello familiare hanno bisogno di essere sostenuti. Infatti, l’esperienza del Covid, le delusioni che troppo spesso i corpi sociali intermedi vivono nel loro interagire tra la cittadinanza e la politica, le fatiche del mettersi assieme, che è una grande risorsa ma bisogna essere disponibili a perdere qualcosa, portano alla necessità di un grande lavoro di manutenzione sui corpi sociali. Abbiamo davanti un impegno importante per rinforzare, ridare speranza, energia, competenze e capacità di interagire a tutti i Forum regionali e a tutte le associazioni.

E a livello politico?

A livello politico dobbiamo rafforzare l’assegno unico, semplificarlo, far in modo che arrivino maggiori risorse. E dobbiamo approfittare di questo momento che, dopo l’approvazione del disegno di legge di delega al Governo per la riforma fiscale, apre una fase di lavoro verso una riforma fiscale con l’auspicio che in Italia finalmente venga rispettato l’articolo 53 della Costituzione nella parte in cui prevede un’equità orizzontale e che quindi riconosca effettivamente i carichi familiari a livello di fiscalità, cosa che in Italia non funziona. Le proposte, tipo Quoziente familiare alla francese, splitting alla tedesca o Fattore famiglia che era il modello che abbiamo sempre proposto noi, sono delle strade: noi non siamo assolutamente affezionati all’una piuttosto che all’altra proposta, l’importante è che si percorra la strada. C’è poi un lavoro determinante sulla qualità e sulla quantità del lavoro femminile, che incidono sulla qualità della vita delle famiglie e sulla natalità, e sull’anticipazione dei tempi delle scelte e dei progetti personali e di vita dei giovani che arrivano sempre troppo tardi e sono sempre troppo dentro canovacci labili. Tutto ciò comporta non poche difficoltà a quell’esiguo numero di giovani che fa parte del corpo sociale italiano, mentre molti abbandonano alcune terre dell’Italia trasferendosi in altre e tanti altri lasciano l’Italia per andare all’estero. Questo è un tradimento che noi facciamo alle nuove generazioni. Inoltre, c’è una politica dell’abitare che va considerata, perché il lavoro e la casa sono due quadri essenziali per costruirsi una prospettiva di famiglia.

In Italia che considerazione ha la famiglia?

Le famiglie hanno bisogno di sentirsi stimate, riconosciute, hanno bisogno che il fatto che loro decidano di stare insieme e di mettere al mondo dei figli sia un bene comune, non un fatto meramente privato. Per far questo ci vogliono atteggiamenti, servizi per la prima infanzia, riconoscimento sociale, che non vengano messi dei bastoni tra le ruote tra il desiderio di avere famiglia e figli che è ancora vivo in capo ai giovani italiani, agli stessi livelli europei, e la realtà dei fatti che ci vede avere uno spread di natalità notevolissimo rispetto a Francia e Germania, ad esempio.

Il presidente uscente del Forum, Gigi De Palo, avrebbe voluto veder realizzata, durante il suo mandato, anche la riforma dell’Isee…

La riforma dell’Isee rientra nella confusione che c’è intorno alle politiche familiari che sono politiche che vengono collocate nell’ambito delle politiche di lotta alla povertà. Noi ci domandiamo perché per acquistare un monopattino, per il bonus facciate o per il Bonus 110% non sia richiesto nessun Isee, mentre per ogni cosa che riguarda la famiglia si chieda l’Isee. Questo ci lascia stupefatti e amareggiati. Se proprio vogliamo restare l’unico Paese in Europa che usa questo tipo di strumento – perché lo siamo –, bisognerebbe che lo strumento fosse funzionale. Siamo riusciti ad avere il parere favorevole a riformare lo strumento da parte di tutte le forze parlamentari, sia quelle che sono oggi in maggioranza sia quelle che sono all’opposizione: auspichiamo che al più presto venga messa in piedi una Commissione dove daremo tutto il nostro contributo assieme a quello delle linee accademiche che accompagnano i nostri approfondimenti.

Gigliola Alfaro (sir)

Redazione Web