La manifestazione per la pace di sabato 5 novembre a Roma è stata così bella e propositiva che non deve essere dimenticata.
Abbiamo manifestato con forza e con gioia per la pace, anche se nel cuore e nella mente avevamo ben presenti le sofferenze di chi si trova nei Paesi in guerra.
Abbiamo camminato, gridato, cantato, danzato, ci siamo abbracciati, felici di essere in tanti; poi abbiamo ascoltato gli oratori che dal palco in piazza San Giovanni hanno giustamente espresso con durezza la condanna della guerra, delle violazioni di diritti, della corsa agli armamenti, della follia di chi detiene le armi nucleari, delle speculazioni di chi si arricchisce causando morte e distruzione. Siamo arrivati a questa grandiosa manifestazione dopo tante iniziative (manifestazioni, webinar, incontri di riflessione e preghiera, presidi settimanali) promosse in tante città dopo l’invasione russa dell’Ucraina, nelle quali si è sperimentata la sinergia di organizzazioni con orientamenti differenti.
A Ivrea sono state organizzati presidi e manifestazioni ogni sabato (è accaduto per 39 volte, dal 24 febbraio a oggi), indetti da tante organizzazioni, tra cui l’Azione Cattolica della Diocesi di Ivrea. Così alla manifestazione di Roma hanno aderito ben 600 organizzazioni di varia natura, che si sono ritrovate d’accordo su alcuni punti importanti di analisi della situazione politica internazionale e su alcune fondamentali richieste ai governanti italiani ed europei.
La prima richiesta è quella più volte ripetuta da Papa Francesco: “Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati di pace”.
La seconda è la convocazione da parte dell’ONU di una Conferenza Internazionale per la pace, “per impegnare tutti gli Stati ad eliminare le armi nucleari, a ridurre la spesa militare in favore di investimenti per combattere le povertà e a favore della transizione ecologica”.
Queste richieste contengono implicitamente la critica a una condotta politica che ha portato alla sciagurata criminale invasione dell’Ucraina decisa dal regime di Putin e alla successiva guerra di difesa armata che dura da più di otto mesi con costi umani ed economici enormi.
È la storia di tante guerre che si concludono sempre con immani sofferenze e tanto lavoro di riconciliazione e di ricostruzione, che si potrebbero evitare se si applicasse il metodo della nonviolenza nella prevenzione, gestione e trasformazione dei conflitti.
Il giorno prima della manifestazione, il 4 novembre, abbiamo ricordato la fine della Prima Guerra Mondiale, che causò 16 milioni di morti, 20 milioni di mutilati e feriti, impoverimento e distruzioni generali.
Per cosa? Per decidere i confini degli stati e soddisfare gli orgogli nazionalistici.
Manifestare per la pace serve a convincere tutti che la guerra è il male assoluto da ripudiare, da evitare, anche se motivata dalla legittima difesa della Patria, perché “Un’altra difesa è possibile”: si tratta della difesa civile non armata nonviolenta, che ovviamente va organizzata e finanziata.
Manifestare per la pace serve a opporsi allo spreco di risorse che vanno a finire nelle fabbriche di armi e nel sostegno delle strutture militari, che costano annualmente più di 2000 miliardi.
Manifestare come abbiamo fatto noi, serve a sostenere chi in ogni Paese obietta contro la guerra, per esempio gli obiettori russi e ucraini, che se fossero ascoltati direbbero come si può risolvere pacificamente il conflitto tra i loro due Stati.
Non dobbiamo essere spettatori delle guerre, non possiamo lasciare che molta parte dell’umanità continui a soffrire per la guerra e per l’ingiusta distribuzione dei beni della Terra; non possiamo lasciare che per l’avidità, la cattiveria, l’orgoglio, il potere di pochi, l’intera umanità finisca in una guerra nucleare.
Dobbiamo invece continuare a riflettere, a riunirci, a manifestare, in Italia e in tutta l’Europa.
Sarebbe opportuno organizzare presto una catena umana in ogni capitale europea, che colleghi le ambasciate ucraina, russa e statunitense, per indicare la via del dialogo, che è parte della via nonviolenta alla pace e alla riconciliazione.
Pierangelo Monti (Presidente Mir)
Redazione Web